A chi si occupa di critica enogastronomica, capita quasi ciclicamente di vedersi a sua volta criticare, con motivi più o meno buoni. Su Linkiesta è apparso un interessante articolo di Michele Fusco proprio su questo tema, che chiudeva con una domanda esistenziale (in senso stretto) con implicita risposta: a che serve la critica enogastronomica? Meglio il passaparola. Anch’io, che mi occupo di critica enogastronomica per mestiere, mi trovo spesso d’accordo con una simile affermazione, ma con qualche fondamentale distinguo.
In Italia il mercato del cibo con annessi (vedi guide e siti dedicati) è sempre più fiorente, nonostante la crisi. Per questo è diventato spesso terra di nessuno, con personaggi di ogni ordine che hanno cercato di “mangiarci” o almeno mangiare gratis. Il tutto amplificato dal megafono di internet, con commenti e critiche spesso pilotati. Questa per fortuna è, però, solo una faccia della medaglia.
Dall’altra parte c’è Petrini (dato che il pezzo prende spunto proprio da lui) e tre decenni di lavoro, tra riscoperta di prodotti della terra, tradizioni, Università del gusto, libri. Tutto quello che lo ha fatto diventare un guru per alcuni, ma soprattutto una personalità di rilievo a livello internazionale. Petrini che, non dimentichiamolo, è nato come giornalista, non è però un critico: è uno straordinario narratore, un osservatore di un mondo che lui stesso ha contribuito a rilanciare (senza Petrini siamo sicuri che sarebbe stato scritto un pezzo come quello di Michele Fusco?). Insieme al mondo di Petrini è giusto collocare anche la critica, quella buona, che segue in maniera rigorosa quanto ci è stato insegnato al corso di giornalismo. Quindi osservazione della realtà, descrizione veritiera di quanto osservato (e mangiato), impressioni motivate. A questo fa da corollario indispensabile la ricevuta fiscale che dimostra indipendenza di giudizio. Una buona guida è fatta seguendo questi criteri per ogni pezzo che sarà cucito insieme agli altri da un curatore. Quest’ultimo è una figura fondamentale: prima di tutto giudica i collaboratori che visiteranno i ristoranti e, in seconda battuta, cerca di creare una coerenza fra i giudizi dati su proposte di ristorazione spesso lontanissime tra loro.
Ho tenuto in fondo un altro requisito indispensabile per la critica enogastronomica: l’anonimato.
Quando entra un Petrini (o, per restare in tema critica, un Raspelli) all’interno di un ristorante, è come se entrasse Madonna in un negozio di dischi: difficile pensare che nessuno se ne accorga. Molto spesso, per sfortuna del “giudicato”, è tardi per correre ai ripari e la frittata è fatta. Il ristoratore accorto ha però ancora qualche strategia difensiva da mettere in campo, proponendo anzitutto i suoi piatti migliori. A quel punto solo l’esperienza del critico potrà fare la differenza, come succede nel 90% dei casi, ma la svista è sempre in agguato.
PS: tornando ai consigli dell’amico, allora meglio sceglierne uno che faccia anche il critico. Fiducia incondizionata.
3 Marzo 2012