Lo scorso 1° aprile è morto Giorgio Chinaglia. Negli Usa, a causa di un infarto – e da latitante perché nei suoi confronti la magistratura italiana avrebbe voluto sapere qualcosa relativamente al tentativo di acquisto della Lazio intorno al 2006, effettuato con soldi non suoi bensì di persone sospettate di essere camorriste.
Ma io non me lo ricordo in modo così negativo. Quello che ho impresso è l’attaccante della Nazionale venuto dalla serie B, e il rispetto per la sua forza di gioco che ne aveva mio padre. Mio padre era uno che aveva un’idea precisa di come dovesse essere il gioco del calcio italiano: «Tecnica superiore a quella di qualsiasi avversario». Soltanto di un calciatore azzurro lui concedeva che potesse giocare diversamente: Chinaglia, quello che correva a testa bassa, sembrava sempre arrabbiato, e segnava a valanga.
Nella stessa atmosfera mentale mi è sembrato un articolo scritto da Paolo Condò per la Gazzetta dello Sport del 2 aprile. Condò ricorda una partita della Nazionale in trasferta in Lussemburgo, in cui dopo pochi minuti l’Italia era già largamente in vantaggio e quindi tutti in campo si rilassarono. Tranne Chinaglia, che si impegnò a fondo fino all’ultimo secondo di partita.
Quando gli domandarono perché non si fosse risparmiato a partita vinta, Chinaglia rispose che era cresciuto in Galles da emigrante, con suo padre che lavorava in fonderia, «io conosco l’orgoglio che prova un papà emigrato quando dice al suo bambino: “Oggi ti porto a vedere l’Italia”, e magari sono due mesi che risparmia sulle sigarette per comprare i biglietti per la partita». Per lui, sapendo che il pubblico dello stadio lussemburghese sarebbe stato costituito quasi interamente da emigranti italiani nelle miniere del vicino Belgio, non c’era alternativa all’impegnarsi al massimo.
Riconsiderando poi la carriera di Chinaglia (qui il link alla Wikipedia con i suoi dati) ho scoperto che la svolta professionale, quando se ne andò dall’Italia nel 1976 per emigrare a New York a giocare con i Cosmos, non avvenne alla stessa maniera della maggior parte dei campioni europei, che stanno da noi per tutta la parte importante della propria carriera e vanno in un campionato minore come quello statunitense soltanto quando in pratica non hanno più energia e con la prospettiva di guadagnare gli ultimi miliardi.
No, Chinaglia fece una scelta convinta, a 29 anni d’età e quindi ancora nel pieno della carriera. Infatti poi in America rimase 8 stagioni, contribuendo alla conquista di 4 scudetti Nasl e vincendo a livello individuale per 5 volte la classifica marcatori.
Come calciatore, con la mentalità generosa che aveva, ha fatto belle cose.