“Secondo lei la giustizia è giusta?”
“Si, signora. La Giustizia è giusta.”
Dialogo tra Licia Pinelli e il giudice Paolillo, tratto dal film di Marco Tullio Giordana, Romanzo di una Strage
Cosa accomuna un giornalista d’inchiesta di lunga esperienza e di altrettanti riconoscimenti, come Leo Sisti, un magistrato del pool di Mani Pulite, che insieme ad altri contribuì ad abbattere la Prima Repubblica, come Piercamillo Davigo e Armando Spataro, Procuratore Capo di Lodi?
La risposta è semplice quanto impegnativa: l’amore per la Verità e il bisogno continuo e mai appagato di Giustizia.
C’è giustizia in Italia?
E’ proprio dal desiderio di rispondere a questo interrogativo e fare il punto della situazione sul sistema processuale penale, mettendone in luce punti di forza e di estrema debolezza, che nasce “Processo all’Italiana”, ultima fatica letteraria della coppia Davigo – Sisti, edito da Laterza.
Il processo italiano non solo è complicato, ma anche schizofrenico. Il rimedio principale non sta tanto nella modifica di questa o quella norma, quanto nel tornare, noi, a essere un popolo serio.
A moderare la presentazione del libro, tenutasi ieri alla libreria Feltrinelli di Piazza Duomo, a Milano, il magistrato Armando Spataro, procuratore capo di Lodi.
Parlare dell’amministrazione della giustizia italiana non è facile. Non solo per la complessità della materia, ma anche per la sua pericolosità. Ancor ben più ardua impresa voler affrontarne un’analisi semplice, ma allo stesso tempo, del processo penale.
Spiegare, quest’ultimo, con linguaggio piano e comprensibile a tutti, molti l’avrebbero considerato un progetto destinato al sicuro fallimento.
Dove altri non avrebbero osato, il duo Davigo-Sisti, nel corso storico più difficile per il nostro paese, anche e soprattutto sul versante della giustizia, riesce con lucidità ad operare una seria e scrupolosa analisi del processo penale, individuando e circoscrivendo i mali, che da decenni lo affliggono.
Procedure barocche e arzigogolate, 9 milioni di cause pendenti, tempi lunghissimi di definizione del giudizio, fanno della giustizia italiana un male endemico, difficile da lenire.
Siamo al 158° posto su 183 paesi osservati, secondo la classifica della Banca Mondiale, per la durata dei procedimenti e l’inefficienza della giustizia.
“Processo all’italiana” nonsi limita all’analitica spiegazione delle inefficienze e delle cause di uno stato allarmante. Propone anche un facile e sicuro rimedio ad una situazione non più sostenibile, consistente nella modifica e nel perfezionamento di poche e incisive norme. Basterebbe solo che il Legislatore lo volesse e in pochi anni renderemmo il sistema processuale meno schizofrenico e più efficace.
Migliaia di procedimenti inutili, montagne di carte e incartamenti, lungaggini dannose e ingiuste, verrebbero ovviate dalla revisione di patteggiamento e rito abbreviato – i due riti alternativi – dalla selezione degli appelli da portare avanti, da una politica seria di depenalizzazione e da una riforma coerente sul nodo intercettazioni.
La Politica e la Giustizia sono legate in un binomio inscindibile, intrecciate stringono in una morsa un Paese in affanno. Oggi quanto mai si avverte la necessità di una riforma profonda, seria ed efficace della giustizia, che a quanto sottolinea con rammarico Spataro “un governo tecnico non sarà mai capace di affrontare come non potrà mai farlo questa classe politica di nominati dalla segreterie”.
Mentre è Davigo a ricordare come ” in questo Paese chi ci governa sembra esserci scordato di essere soggetto alla legge”.
Rincara la dose, infatti, il consigliere della Suprema Corte di Cassazione, Piercamillo Davigo, affermando, senza mezzi termini, che “anche noi magistrati abbiamo i nostri vizi e le nostre debolezze, ma non siamo altro che lo specchio del Paese e della classe dirigente”. E ancora, “lo stato di tensione, creatosi nell’ultimo quindicennio tra magistratura e politica non ha migliorato la situazione. Invece che occuparsi del colore dei calzini dei magistrati, alcuni dovrebbero pensare a far altro.”
Non sono mancati gli affondi al governo Berlusconi e all’ex Ministro della Giustizia, Angelino Alfano, accusati di avere impegnato il tempo e i soldi dei cittadini per creare “leggi ad personam”, che “hanno inciso con effetti gravissimi sull’intero sistema”.
Battute taglienti non sono state risparmiate neanche al governo dei tecnici. Guai a parlare di “spacchettamento ” della concussione: “L’Europa, ricoda Davigo, non ci chiede l’elimanazione della concussione, ma ci interroga su come sia possibile che i funzionari corrotti tornino a lavorare dopo il reato. La via è solo aumentare la prescrizione, ma a qualcuno non conviene”.
A tirare le conclusioni sul perchè di un viaggio necessario sulle anomalie e sui rimedi del processo penale, ci pensano Sisti e Spataro. Il primo sostenendo quanto sia necessario “da cittadino indignarsi, perchè contro questa classe politica, incapace di porre rimedio ai mali che ha creato, è doveroso porre fine al ridicolo. La dobbiamo smettere di alimentare e farci governare dal ridicolo”.
Non va per il sottile neanche Spataro, il quale invita la gente, i cittadini comuni, a conoscere ciò che non funziona del nostro Paese, perchè “vi dovete indignare. Dovete essere arrabbiati. Solo la tensione dell’opinione pubblica potrà spingere verso un miglioramento delle cose.”
Davigo lapidario: “L’indignazione dell’opinione pubblica è come la tensione erotica. Dura poco, però voi sforzatevi di farla durare”.
La giustizia, questo libro lo dimostra, non è solo affare di tecnici e addetti ai lavori. E’ esigenza collettiva e patrimonio insopprimibile di uno Stato civile. Noi, di fronte alla nostra, possiamo dire ancora di esserlo?