120 lt d’acqua per produrre un bicchiere di vino? Ma dopo bianco e rosso il vino italiano diventa verde.
La sostenibilità delle produzioni agricole non è più solo un imperativo etico da cui non possiamo esimerci, ma anche un marchio di grande valore aggiunto sul mercato, ergo un’opportunità di marketing da non lasciarsi sfuggire.
Il progetto per la sostenibilità della vitivinicoltura italiana, lanciato nel luglio 2011 con il sostegno del ministro dell’Ambiente Corrado Clini e che coinvolge 11 tra le più rappresentative cantine del made in Italy enologico verrà presentato a giugno al Forum dello sviluppo sostenibile di Rio de Janeiro.
La finalità a cui cantine e ricercatori stanno lavorando è quella di mettere a punto una metodologia standardizzata di sostenibilità ambientale per tutta la filiera del vino, partendo dalla misurazione che tale produzione ha sull’ambiente per emissione di gas serra e utilizzo di acqua, ovvero non solo carbon ma anche water footprint, visto che i consumi idrici sono incidono parecchio nella produzione del vino.
A motivare il check up, non poco laborioso per le aziende coinvolte, e la definizione di una pratica operativa che risulta estremamente complessa per la particolarità del sistema produttivo vinicolo (dalla vigna, alla vinificazione, dalla distribuzione fino all’eliminazione dei rifiuti) e a cui aggiunge ulteriore complessità l’enorme frammentazione delle realtà vinicole italiane, ci sono però risvolti economici non poco allettanti. Non lo nascondono Lamberto Vallarino Gancia, presidente di Federvini e Pietro Antinori, presidente dell’Istituto Grandi Marchi.
I consumi premiano quanto viene prodotto con un atteggiamento di maggior rispetto dell’ ambiente. Così le T shirt modaiole in cotone organic riportano un aumento delle vendite del 40 % e la prima bottiglia di acqua “carbon neutral” ha fatto registrare alla multinazionale che l’ha prodotta un incremento delle vendite del 30% cento. Intanto in Brasile la più importante compagnia di fashion adotta un iter produttivo green e marchia “organic” la pelle dei pesci d’ Amazzonia e la juta con cui produce abiti ed accessori che, ça va sans dire, andranno a ruba.
L’opportunità di business è certo un’ottima leva per renderci più nobili ed attenti e il label di ecosostenibile sembra essere ormai garanzia certa di vendite, soprattutto nei mercati stranieri, da quello asiatico al Sud America, più sensibili di quello domestico a questi argomenti.
Virtuosi si, ma con ritardo, poiché, mentre paesi vinicoli “eco-progressisti” come la Nuova Zelanda (dove dal 2010 in retroetichetta si leggono le emissioni di CO2 per ogni bicchiere di vino, adeguate al paese importatore in funzione delle emissioni dovute al trasporto), il Sudafrica e l’Australia si sono da tempo attrezzati con protocolli e simboletti che consentono di riconoscere le bottiglie eco-friendly (anche se in alcuni casi con protocolli meno omnicomprensivi di quello che si sta definendo in Italia), noi muoviamo i primi passi ora, resi probi dalla crisi e illuminati dalle opportunità.
Ad Maiora!