Carlos Fuentes Macías (Panamá, 11 novembre 1928 – Città del Messico, 15 maggio 2012)
Carlos Fuentes: 83 anni e un mancato premio Nobel. Ieri sera, nel corso di una grande veglia nella casa di Città del Messico che Fuentes divideva con la moglie (la giornalista Silvia Lemus), lo scrittore messicano Ignacio Solares ha gravemente commentato: «Con Fuentes è morta la nostra ultima grande coscienza». Fuentes, che era stato candidato al Nobel per la letteratura lo scorso anno, parlava del suo Paese come un uomo parlerebbe di una donna:
«È molto enigmatico, ed è una buona cosa, perché ci tiene allerta, ci costringe costantemente a cercare di decifrare il suo enigma, il mistero del Messico, a cercare di capire un Paese che è molto, molto barocco e pieno di sorprese».
Il suo primo romanzo, La región más transparente (in italiano: L’ombelico della luna) parlava proprio della vita nella capitale messicana fra gli anni Quaranta e Cinquanta ed era stato definito da molti come il libro precursore del famoso boom latinoamericano (Fuentes era uno dei “quattro moschettieri” assieme a Gabriel García Márquez, Mario Vargas Llosa e Julio Cortázar).
Erano seguiti 20 romanzi, fra cui Aura e La Morte di Artemio Cruz, diverse cattedre di letteratura in università nordamericane, e un mandato da ambasciatore in Francia nel 1975, durante il quale aveva aperto le porte a molti rifugiati politici latinoamericani da cui si era dimesso dopo appena due anni, per protesta alla nomina di ambasciatore in Spagna dell’ex presidente Gustavo Díaz Ordaz, responsabile del massacro del 1968 di diverse centinaia di studenti in piazza Tlatelolco.
Carlos Fuentes non si immaginava di morire. Lo ha stroncato, inaspettatamente, un’emorragia. Era da poco tornato dalla Feria del Libro di Buenos Aires, che si è conclusa il 7 maggio, dove aveva comunicato di stare lavorando ad un nuovo romanzo, El Baile del Centenario su cui aveva detto:
«Ho già molti capitoli, annotazioni, personaggi. C’è una donna che mi interessa molto, che non vuole dire niente del suo passato e si scopre a poco a poco, fino a quando arriva al mare e si libera».
Queste parole, pronunciate solo poche settimane fa, ricordano inevitabilmente quelle stesse dell’autore riguardo alla morte:
«La morte spetta al più coraggioso, al più ricco, al più bello. Però lo rende uguale al più codardo, al più povero, al più brutto, e non per il semplice fatto di morire, né per la consapevolezza della morte, ma per l’ignoranza della morte. Sappiamo che un giorno verrà, però non sappiamo mai cos’è».
Carlos Fuentes da giovane