La pelle di zigrinoAmato nostro

Del professor Amato, ineffabile Etabeta della politica italiana, si possono avere le più varie opinioni. Ma se ci venisse chiesto un parallelo storico, l’unica figura degna di essergli pareggiata è...

Del professor Amato, ineffabile Etabeta della politica italiana, si possono avere le più varie opinioni. Ma se ci venisse chiesto un parallelo storico, l’unica figura degna di essergli pareggiata è quella di Talleyrand, vescovo di Autun, navigatissimo politico, ministro, ambasciatore francese capace di servire, nell’ordine e senza sostanziale soluzione di continuità: la monarchia di Luigi XVI, la Rivoluzione francese, Napoleone e poi, dopo la caduta di questo, nuovamente la monarchia.

Di Talleyrand, il prof. Amato condivide senz’altro l’intelligenza, la giusta dose di cinismo, l’ambizione e la vanità.
Per certo, del vescovo di Autun potrebbe far propria la massima per cui “la parola è stata donata all’uomo per nascondere il pensiero”. Sia chiaro: non perché il prof. Amato non abbia dimestichezza con la parola, anzi. Tra i politici italiani, anche quelli, come lui, di estrazione tecnica, pochi hanno avuto in dono la velocità di testa, le fulminee sinassi che Amato sfoggia in ogni occasione in cui prende la parola in pubblico, garantendo l’estasi delle sempre più nutrite schiere degli amatofili, quelli che dopo che lui ha parlato si alzano, sazi ed inebriati dall’overdose di endorfine, come gli amanti che abbandonano l’alcova.
E’ che di Amato non si riescono mai a comprendere le reali intenzioni, i moventi del suo agire.

Riuscì ad essere ininterrottamente sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dal 1983 al 1987, quando Palazzo Chigi era occupato dal leader socialista Craxi. E di Craxi, e del suo governo, fu la minuziosa, capientissima, scatola nera, il suggeritore delle architetture giuridiche, anche di quelle meno commendevoli, come quando trasformò il regime televisivo privato da provvisorio a transitorio. Questa volta, come lui stesso affermò, garantendo – testualmente – l’orgasmo ai giuristi e, pro quota, a se stesso.

Dalla mattanza dei partiti e dei loro leader che seguì lo scoppio di Tangentopoli, Amato uscì senza uno schizzo, senza una piega, senza una sgualcitura. Netto al punto da vedersi affidare il Governo del Paese in uno dei momenti peggiori della storia recente (forse solo al collega Monti il destino cinico e baro ha riservato una sorte peggiore). E diede prova, in un momento drammatico, di grande valore.

Riemerse in politica anche nel corso della famigerata seconda Repubblica, lui che della prima era stato il terminale ispiratore e senz’altro il liquidatore. Ma nella bonaccia dei governi ulivisti il professor Amato pareva aver smarrito lo smalto, il coraggio, la vaglia del nocchiero da burrasca.

Riuscì persino ad avallare la sciocchezza della riforma del Titolo V della Costituzione, approvata con risicati quattro voti di maggioranza, nonostante gli inviti alla cautela della sparuta pattuglia repubblicana, e legittimando così le scorribande istituzionali del futuro governo Berlusconi.

Venne utilizzato, a rate ed intermittenza, dal gruppo dalemiano per tentare di fornire un’anima ai Democratici di Sinistra, un po’ come quando ci si rivolge alla banca del seme per sperare in un patrimonio genetico all’altezza delle aspettative. Ma nei suoi confronti il vecchio pregiudizio anti-socialista fu duro a morire: venne tollerato, senz’altro rispettato, ma mai amato, ironia della sorte, dai gelidi cuori dei vecchi piccisti, che gli rimproveravano l’intelligenza col nemico.

Ancor più triste fu la ripulsa che seppe alimentare tra gli eredi, mai pentiti, del socialismo craxiano.

L’ex potente Rino Formica definì Amato modesto “tassista” della politica. E lo stesso Craxi lo degradò a modesto “professore a contratto”, lui che professore era davvero e non certo in ragione di qualche pastetta accademica.

Il Governo Monti, preoccupato della crescente maretta all’interno della sua maggioranza, ha ben pensato di richiamare Amato in servizio, col compito di applicare ai partiti, in sedicesimo, la dieta che seppe servire all’Italia nel 1992-93.

Per carità, nonostante Amato non sia, come scriveva Montanelli, un leone, mancandogliene gli artigli, la criniera e l’ugola, non è detto che non sappia, in tempi di emergenza, ritrovare la sbiadita severità.

Perché il prof. Amato si è dimostrato un uomo buono per le grandi emergenze, ma incapace di brillare quando gli erano assegnati compiti di ordinaria amministrazione.

La riforma dei finanziamenti ai partiti è certo necessaria ed urgente, ma non è un emergenza commisurata al blasone del professore. E questa volta, lo avvertiamo, non sarà facile: perché i suoi pazienti non saranno indistinti e lontani contribuenti da spremere, ma tenaci e guardinghi partiti.
Che di diete non amano sentir parlare.