Blow-UpFin dove può arrivare l’infinito? Ricordando Paola e Luigi Ghirri

Fin dove può arrivare l'infinito? La risposta sfugge continuamente alla ragione che, nel disperato tentativo di rincorrerla, la vede proiettarsi altrove, lontana e irraggiungibile. Solo l'immaginaz...

Fin dove può arrivare l’infinito?
La risposta sfugge continuamente alla ragione che, nel disperato tentativo di rincorrerla, la vede proiettarsi altrove, lontana e irraggiungibile. Solo l’immaginazione, latente nelle mani e nello sguardo straniante dell’arte, ha il potere di accompagnarla nel suo volo interminabile fino a racchiuderla in uno spazio interiore, di cui soltanto attraverso un particolare stato d’attenzione possiamo percepirne il battito, ritrovarne la percezione viva.

Per fortuna molti sanno coltivare queste trame profonde, sanno mantenere integro il contatto degli affetti. L’incommensurabile, il senza tempo pulsa in certe, speciali reazioni umane di fronte agli eventi capitali dell’esistenza come la morte, il lutto, perché sono capaci di alimentare un anelito vitale, perché sanno custodire un sogno. Paola e Luigi Ghirri questo sogno ce l’avevano insieme e insieme non avevano mai smesso di immaginarlo. Sicura e toccante conferma di questa convinzione ci è giunta qualche giorno fa dalla straordinaria prova di affetto, stima, devozione caritatevole con cui tante persone “intime” li hanno voluti ricordare.
Numerosi autori, riunitisi a Rubiera, presso le sale espositive di Linea di Confine, celebre istituzione che da decenni svolge un lavoro egregio di promozione e valorizzazione della ricerca fotografica, hanno, ciascuno con i propri mezzi e le proprie idee, messo insieme un grande mostra-tributo al sodalizio sentimentale, alla fotografia e ai tanti anni di vita trascorsi accanto alla coppia scomparsa. Tutti, in un modo o nell’altro, avevano conosciuto e frequentato i due coniugi, e tutti hanno voluto lasciare in mostra, il catalogo ce ne dà una preziosa testimonianza, un dono, una piccola offerta votiva sull’altare della memoria. Chi, in qualità di fotografo, ha concesso un’immagine personale; chi invece, da scrittore, storico, critico, o musicista, ha pensato a delle parole, una frase, un testo breve abbinandoli, come in una sorta di didascalia emozionale, a una foto del grande emiliano. Nel catalogo fa l’introduzione Giorgio Messori con uno scritto pubblicato anni or sono, ma per certi versi profetico perché, descrivendo con vicinanza fraterna e complicità professionale la poetica di Ghirri, ne sa cogliere, al di là dei limiti della visione fotografica, l’aspirazione all’infinito, le suggestioni impalpabili di cui accennavo all’inizio, che in parte giustificano la genesi di questo progetto memoriale. Completa la pubblicazione un vasto saggio storico-critico inedito di Arturo Carlo Quintavalle. Secondo me ottima anteprima, nel suo tentativo di inquadrare l’intera parabola “ghirriana”, alla grande antologica prevista al MaXXi di Roma per la primavera dell’anno venturo.
Questa mostra e il libro allegato mi sembrano uno splendido racconto corale: una serie polifonica molto variegata per le identità e le provenienze dei singoli, ma che sa soffermarsi su una forma breve di espressione, su un sentimento essenziale, appena sussurrato, nel rispetto di quella silenziosa densità posseduta dalle fotografie di Luigi Ghirri e, chiaramente, del lavoro discreto e peculiare svolto dalla compagna Paola in questi ultimi anni.
Sono dialoghi leggeri, tenuti su un registro di prossimità, su un tono di confidenza davvero sentita. Ecco vi si respira una bell’aria di famiglia.
Paola e Luigi è come se avessero lasciato al mondo una folta schiera di consanguinei ideali, non riconoscibili attraverso l’anagrafe o i comuni rapporti di parentela diretta, ma mediante un’affinità più profonda, sottopelle, pregna di gusti, umori, opinioni, vedute, linguaggi, desideri in cui chi non c’è più continua a rigenerarsi, a vivere appunto all’infinito.
Concludo riportando giusto due di questi contributi, senza voler far torto a tutti gli altri, naturalmente. Un brano, collegato alla foto di Luigi Ghirri dal titolo Modena, 1970 scritto da Elena Re, una valida studiosa molto attenta alla fotografia italiana, e un altro consistente in una fotografia scattata da Andrea Botto in cui, appunto, la genealogia “ghirriana” è inconfutabile. L’ho scelti perché sono in grado di descrivere, con grande efficacia, l’idea di un indelebile senso di appartenenza, riannodando i fili di una doppia esperienza sia autobiografica che collettiva, a un’unica comunità d’elezione.

«La vigilia di Natale il presepe aveva preso fuoco. Mio padre in camicie bianco, a soffocar le fiamme con una coperta. Poco era rimasto per quella notte. Ma una carta di stelle stropicciata mi permetteva di vedere l’infinito. E così, io ero felice.» (Elena Re)Luigi Ghirri, Modena, 1970

Andrea Botto, Las Vegas, Val Badia 2006

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