E’ bello, in queste settimane, leggere un nuovo clima nell’agenda digitale del Paese. Il governo Monti ha saputo trasformare cenerentola nella principessa e così, se fino ad un anno fa, il sinonimo di “grande opera” era “calcestruzzo” oggi è diventato “banda larga”, “start-up”, “smart-cities”.
Il ministro Profumo dice cose bellissime parlando di “social innovation” mentre è tutto un fiorire di tavoli consultivi, consultazioni via web, wiki-qualcosa, open-qualcosaltro. Passera si spinge giustamente nel mondo delle startup e, talvolta, sembra quasi di stare nella silicon valley. Niente di meglio per noi vecchi sognatori di internet.
Quello che a questo punto è importante tenere in mente è che, per incontrare una crescita duratura e sostenibile, è necessario saper selezionare gli investimenti in innovazione. Le direttrici degli investimenti potrebbero essere due. La prima è fissata nella capacità di mobilitare il maggior numero di risorse umane di qualità (di solito giovani con alta formazione) che hanno anche bisogno di solidificare la loro condizione sociale e dunque disposti a consumare risorse aumentando la domanda di beni di consumo, istruzione, ecc. La seconda quella di utilizzare gli investimenti verso progetti che facciano da leva moltiplicatrice della capacità del nostro paese di esportare beni e servizi innovativi (non dimentichiamo che una delle cause del nostro debito è il deficit commerciale).
Nella prima direttrice, quella della mobilitazione delle risorse umane, è necessario promuovere un grande programma di formazione nazionale che spinga verso un deciso incremento della qualificazione dei lavoratori e della loro formazione continua. La nostra crescita non sarà sostenibile se non formeremo velocemente un numero molto maggiore di persone e verso qualifiche più elevate. Da questo punto di vista dobbiamo rendere più aperta la formazione, investire in processi e tecnologie innovative in questo settore. Dobbiamo anche investire in software prodotto in Italia (e dunque aumentare notevolmente la spesa in open-software) e in ricerca applicata. Sarebbe il caso di riprendere la formazione tecnica industriale, pilastro del boom economico degli anni ’60, e trasformarla in una leva di preparazione tecnica dei giovani riqualificandone il ruolo e la qualità. Abbiamo probabilmente pochi laureati (anche se abbiamo anche il maggior numero di disoccupati in questo settore) e dunque dobbiamo puntare a costruire giovani leve che escono dalle scuole medie superiori con un livello di preparazione tecnica in grado di fare buona parte del lavoro che oggi viene affidato ad un ingegnere (ad esempio per scrivere il software non è necessario un ingegnere).
Per mobilitare grandi risorse sono necessari progetti di sistema. Da questo punto di vista dovremmo puntare su progetti-sistema come il ridisegno del welfare utilizzando l’informatica non solo per eseguire i vecchi processi con efficenza ma per personalizzare il welfare in modo intelligente ed economico, per far incontrare meglio domanda ed offerta evitando sprechi e diseconomie (un prodotto che anche all’estero trova grande interesse). Oppure ragionare intorno ad architetture nuove di rete e di sistema, all’uso massicio della robotica come assistente in attività civili o l’uso e costruzione dei satelliti. Mobilitare risorse significa anche mettere in conto di rientrare nella produzione di apparati di telecomunicazione (in Italia abbiamo avuto i centri di ricerca di molte multinazionali come le loro fabbriche, è tempo di intervenire direttamente in settori strategici), aumentare il nostro vantaggio sulla tecnologia satellitare e radiowireless.
Nella seconda direttrice ci sono quei progetti che sono utili al nostro Paese ma sono originali e innovativi nel panorama internazionale. Se ci prefiggiamo di portare la banda larga con apparati cinesi o USA avremo messo internet in tutti i casolari ma avremo generato profitti per aziende estere (qualcuno dirà a ragione che comunque ci sarà un ritorno positivo ma se evitiamo il ritorno sarà ancora di più). Anche qui la scommessa è quella di costruire modeli originali. Nessuno ricorda più la storia del “pendolino”, treno ad alta velocità che viaggiava sui vecchi binari. Il “pendolino” nacque da una richiesta “politica” di avere un treno superveloce. Le Ferrovie dello Stato fecero una richiesta al mercato con requisiti ben chiari e criteri di selezione rigidi, la FIAT rispose e vinse con il progetto del “pendolino”. Questo treno fu fortemente innovativo e venne esportato in tutto il mondo (poi la FIAT vendette il brevetto ai francesi secondo uno stile scellerato troppo in voga in Italia). Abbiamo bisogno di progetti di questa caratura. Ad esempio potremmo chiedere alle nostre imprese cantieristiche navali di progettare una grande nave in grado di percorrere Salerno-Palermo in due ore (per dire) e ripensare materiali, motori, sistemi di bordo e quant’altro è necessario per la navigazione. Forse potremmo trovare la nave da vendere in tutto il mondo e prodotta da Fincantieri senza concorrenza internazionale. Potremmo anche pensare ad una rete wireless per portare la banda larga e dunque costruire una tecnologia adatta a raggiungere velocità e caratteristiche originali, magari su satellite esfruttando per primi le onde radio “vorticose” sxcoperte al’università di Padova qualche settiman fa, chi lo sà.
Insomma gli investimenti in innovazione, per produrre risultati, devono essere fatti in modo innovativo evitando di farli concentrare in poche mani, di trasformarli in profitto e rendita per poche cricche ben presenti nei tavoli giusti, di trasformarli in fuochi di paglia che in pochi anni bruciano risorse ma poi rimane solo fumo.
Un esempio negativo è il piano di e-government del passato ministro Lucio Stanca, il quale ha saputo dilapidare un miliardo di euro frutto della gara UMTS senza che la PA abbia minimamente ottenuto benefici. Un grande “cantiere” di laboriose persone che hanno smesso di lavorare quando sono finiti i soldi. Una specie di “pensione a tempo”.
Gli investimenti in innovazione di cui abbiamo bisogno sono quelli sulla canna da pesca, perché quelli sul pesce dopo pochi giorni puzzano e sono immangiabili. Sono convinto che il governo sappia cogliere la metafora.