Darwin sognava pecore digitaliAddio Ray Bradbury. Adesso la fantascienza dobbiamo iniziare a progettarla

Addio Ray Bradbury. Lo scrittore che ha segnato un’epoca e un genere letterario posa per sempre la sua penna. Dopo grandi autori di fantascienza come Asimov, Philip K. Dick, Kurt Vonnegut, J.G. Ba...

Addio Ray Bradbury. Lo scrittore che ha segnato un’epoca e un genere letterario posa per sempre la sua penna. Dopo grandi autori di fantascienza come Asimov, Philip K. Dick, Kurt Vonnegut, J.G. Ballard, si è spento anche il padre della vera “distopia letteraria”. Il creatore di Fahrenheit 451 ci ha lasciato a 91 anni la notte tra il 5 e il 6 giugno nella sua casa di Los Angeles. Era nato nel 1920, nell’Illinois, amava leggere e fin da piccolo trascorreva le sue giornate in biblioteca tra libri di fantascienza e classici. Bradbury aprezzava Shakespeare, Shaw, Pirandello e i grandi maestri della poesia, non a caso veniva riconosciuto come uno dei più “letterari” fra gli autori ascritti a questo genere. Abile prosatore, negli anni non aveva mai smesso di scrivere, anche per i giornali come il New Yorker, dove proprio qualche giorno prima aveva consegnato un articolo, raccontando il suo primo approccio con la fantascienza e la scrittura. Solo negli ultimi anni, causa problemi di salute, rallentò la sua attività.

Nel 1950 scrisse il grandissimo Cronache Marziane, una raccolta di racconti che descrivono l’esplorazione e la colonizzazione di Marte in seguito a guerra nucleare sulla Terra. 28 racconti, per essere precisi, dove il pianeta viene letteralmente costruito e modellato dalla fantasia dell’autore, che proiettava su Marte malinconie e scenari tipicamente terrestri, paure del suo tempo indirizzate ad una guerra nucleare, con un forte sentimento ambientalista. Una fantascienza cupa, quella di Bradbury, ricca di immagini cruente e personaggi profondi. Una fantascienza che si discosta da quella più scientifica (e robotica) di Asimov e anche da quella paranoica e postmoderna di Philip K Dick. Bradbury reinterpretava in prospettiva fantastica credenze popolari, racconti e storie, coniugando osservazione sociale e visione narrativa.

Ricordo quando lessi Fahrenheit 451, avevo vent’anni e le sensazioni di disagio, angoscia ma soprattutto speranza, avvertite tra quelle pagine, tra le budella dello stomaco fino alla gola, non le dimenticherò mai. Simili, ma al contempo differenti, ad altre percezioni, forse più crude, brutali e intense percepite durante la lettura di 1984. Libri che segnano, mondi possibili che rimarranno nel nostro immaginario per stupire, soffocare e provocare reazioni. Anticorpi letterari che appartengono di diritto a un genere come la fantascienza, che da sempre, dalla golden age al cyberpunk e in particolare nel filone distopico, cerca di tratteggiare attraverso luce, nevrosi e oscurità, le riflessioni e i comportamenti dell’uomo nella società. Una distopia umana e culturale, quella di Ray Bradbury, ma non senza speranza. Lo scrittore disegna un mondo rovinato dagli uomini più che dalla politica, che si discosta dal totalitarismo senza scampo descritto da Orwell. Differente, a sua volta, dalla distopia più sociale e sociologica del Nuovo Mondo di Huxley.

Fahrenheit 451 è il racconto di una società che condanna la cultura, che condanna sé stessa all’immobilità, soggiogata da fatti e informazioni vacue “non combustibili”. La storia di Montag, il pompiere incendiario, con i suoi semplici interrogativi. Un uomo che si ribella allo status quo provando a comprendere la realtà che lo circonda, cercando segnali e strumenti, che la collettività non vuole e non accetta di vedere. Un’invenzione, quella degli “uomini libro”, portatori sani di speranza e conoscenza, che rimarrà per sempre uno dei suoi colpi di genio. François Truffaut rimase talmente colpito dalla storia, in particolare dalla famosa scena in cui i libri vengono bruciati, che trasformò le parole di Bradbury nel film cult del 1966.

Bradbury aveva una predilezione per il libro e per la carta, nell’ultimo periodo della sua vita si schierò contro la tecnologia, opponendosi alla pubblicazione delle sue opere in formato digitale. Solamente lo scorso anno acconsentì con molta fatica alla diffusione di Fahrenheit 451 nel formato e-book. Lo scrittore vedeva con sospetto Internet e i nuovi orpelli tecnologici, figlio di un’epoca nella quale certi dispositivi e certe connessioni si potevano solamente immaginare.

Un “visionario tradizionalista”, ma anche una persona complessa e geniale, dal carattere un po’ burbero. Un uomo appassionato e un grande scrittore che se ne va, purtroppo, come già altri grandi della sua generazione. Scrittori di genere che hanno cercato (chi più chi meno) di superare questa etichetta, ascritti al grande olimpo della letteratura senza distinzioni accademiche. Uomini che avevano il dono dell’immaginazione, che hanno segnato un’epoca d’oro per questo tipo di letteratura che difficilmente tornerà. Un periodo in cui la fantascienza si poteva ancora immaginare. Oggi fatichiamo ad immaginare, troppo presi dalla routine quotidianità, dalle avversità di una società in stallo e da un mondo accelerato, iperconnersso e iperreale. Nell’attesa di una nuova classe di “fantastici illuminati”, proviamo a diventare noi quegli “uomini libro”, per guardare oltre il nostro domani, oltre lo spazio che separa i bastioni di Orione dalle porte di tannhauser.

La fantascienza dei giorni nostri possiamo e dobbiamo incominciare a crearla, a progettarla. Storie di uomini che cambiano il mondo, “start-up sociali” e “imprese umane” che collaborano tra loro. Il succo non cambia, il futuro lo costruiamo noi legando assieme politica, economia, società ed ambiente agli insegnamenti della letteratura. Leggere e riflettere, progettare idee ma senza dimenticare le storie, mettendo in moto il più grande catalizzatore naturale per le imprese umane: l’immaginazione. Proviamoci, investiamo sulla ricerca, sull’università e sulle start-up. Studiamo, leggiamo i grandi classici della fantascienza e rivalutiamo la parola scritta, creiamo “reti di idee in progressione” per poi concretizzarle. Scriviamo di fantascienza. Forse fra cinquanta o cento anni quei racconti saranno utili, importanti, più di quegli stessi progetti, magari per comprenderli, codificarli, raccontarli. Qualcuno, forse un essere umano, potrebbe leggerle quelle storie e veder riflesso gioie e dolori del nostro tempo.

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