Anna Paola Concia, tennista mancata in uno sport di privilegiati

"Un foglio bianco dove scrivere il mio amore per il tennis mi sembra quasi non basti". Comincia così la testimonianza di Anna Paola Concia sul settimanale "Gli Altri". La conosciamo come deputata P...

“Un foglio bianco dove scrivere il mio amore per il tennis mi sembra quasi non basti”. Comincia così la testimonianza di Anna Paola Concia sul settimanale “Gli Altri”. La conosciamo come deputata Pd e attivista per i diritti di lesbiche, gay, bisessuali e transgender. Eppure nel suo curriculum spiccano anche gli studi all’Isef dell’Aquila: traccia indelebile di una carriera sportiva che ha fatto breccia nel cuore della parlamentare dall’età di 7 anni.

“Mia madre diceva che la racchetta era un prolungamento del mio braccio”. La Concia giocava dove poteva, prendeva lezioni e correva da un campo all’altro, anche se “il tennis negli anni settanta era ancora uno sport per privilegiati”. Eppure il maestro “capì subito che ero dotata e mi faceva giocare anche fuori dalle ore di lezione”. Poi, a 12 anni, i primi tornei giovanili: “vincevo e avevo bisogno di essere seguita, ma così non andò”. Continuò comunque a fare tornei da sola, ma “non potevo partecipare a campionati importanti, non potevo viaggiare, ci volevano soldi e a casa non ce n’erano”.

A quel punto la scelta di fare la maestra di tennis per non permettere “che un ragazzo o una ragazza con capacità dovessero rinunciare ad un’opportunità per ragioni economiche”. Ecco l’esperienza all’Isef e “nel frattempo continuavo ad allenarmi e a fare tornei come potevo, salivo in classifica e mi appassionavo”. Il rimpianto è evidente: “molto probabilmente se qualcuno mi avesse seguita da ragazza sarei diventata una giocatrice forte, forse anche una professionista. Ne sono quasi certa, vista la competenza acquisita nel tempo”.

Le pur belle parole della Concia pesano come pietre in quello che è il primo sport individuale italiano e che, a torto o a ragione, viene tuttora considerato roba da privilegiati. Certo, esistono i centri federali, c’è il sostegno della Federtennis ai giovani e un apparato di bravi maestri. Ma ci sono anche le tantissime storie di tennisti in erba che non ce la fanno per problemi economici: perché trasferte, formazione e allenatori non sono alla portata di una famiglia normale.

Così il racconto della Concia incontra quello di Sara Errani, emigrante all’età di 12 anni, con la famiglia che ogni anno staccava assegni da 50-60 mila euro per garantirle la progressione del sogno sportivo. Non parliamo di casi isolati ma della quasi normalità per chi prova a sfondare nel mondo del tennis, ben sapendo che in Italia è troppo difficile farlo, pur con tutti i sacrifici del mondo.

Fino a che punto i giovani talenti riescono a “farsi da soli”? E soprattutto, è giusto che la meritocrazia debba fermarsi davanti agli ostacoli del portafoglio? In un tale contesto l’Italia arranca nei ranking e sforna pochi talenti, spesso figli della tigna personale, più che del patrio assistenzialismo. Intanto la Federtennis è impegnata altrove. Dopo quella dei deputati, arriva un’altra interrogazione parlamentare in cui i senatori Idv Belisario e Giambrone chiedono conto di spese, assunzioni e rapporti di potere in seno alla FIT. Nell’occhio del ciclone pure gli svariati milioni di euro versati al canale tv SuperTennis. Le giovani promesse possono accomodarsi in platea.

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