Alberto Pacifici è uno dei fondatori della Meccanotecnica Umbra di Campello sul Clitunno. Un’azienda che si occupa di componentistica per applicazioni automobilistiche, industriali ed elettrodomestiche ad alto contenuto tecnologico con diverse sedi nel mondo: Brasile, Cina, Svezia, Stati Uniti, India e Messico. Pacifici ha appena ricevuto da Giorgio Napolitano l’onorificenza a Cavaliere del Lavoro. Quando racconta la storia della sua azienda, lo fa con grande entusiasmo. Le parole di Alberto Pacifici sono importanti poiché l’esperienza diretta di chi ha deciso di intraprendere la strada dell’internazionalizzazione, può essere utile a tutti gli imprenditori.
Alla fine degli anni ’90 avevamo solo due possibilità: chiudere dichiarando fallimento o buttarsi nella globalizzazione. La scelta non è stata facile anche perché tutti mi sconsigliavano ma io ho deciso di intraprendere la seconda via. Così nel 2000 ho aperto una sede in Brasile, questa esperienza non è andata male ma il mio obiettivo era investire in Cina. Nessuno sapeva come muoversi per andare in quel paese ma mi avevano indicato l’Università degli Studi per Stranieri di Perugia come luogo in cui poter incontrare studenti cinesi che imparavano l’italiano. Sono andato a Perugia e ho conosciuto una ragazza dal nome impronunciabile che per comodità è stata “ribattezzata” Serena. Un giorno, Serena mi dice: “Non voglio essere una semplice interprete. O mi assume come manager o niente”. Non avevo mai conosciuto una ragazza con tale determinazione e, soprattutto, mi sembrava inaspettato il suo modo di fare ma, alla fine, l’ho assunta come manager e oggi è la numero due della società. E’ entrata a far parte della mia famiglia, veniva a pranzo e ha iniziato a raccontare a me e mio figlio come era la Cina, a darci consigli su cosa fare, a non illudersi di investire in tempi rapidi perché il consenso avviene per legge. Insomma una serie di informazioni importantissime per capire il mercato cinese. Quindi abbiamo deciso di andare in Cina, abbiamo girato per Shanghai, Nanchino, Pechino ma erano al di sopra delle nostre possibilità. Poi Serena ci ha portato nella sua città natale, Qingdao, che contava già una grande presenza di tedeschi, e abbiamo deciso di aprire la nostra sede cinese. In controtendenza, non siamo andati in Cina per delocalizzare ma per fornire il mercato cinese e, altro aspetto innovativo, siamo andati portando una responsabilità sociale. Quindi abbiamo introdotto aspetti come i diritti dei lavoratori, la retribuzione adeguata e le regole per il rispetto dell’ambiente, trovandoci a volte a dover risolvere anche problematiche inaspettate. I cinesi hanno richiesto un dormitorio vicino alla sede di lavoro, una proposta inusuale perché non avevamo calcolato che molti cinesi arrivano dalle zone interne del paese e quindi avevano bisogno di un posto per dormire. Pian piano abbiamo risolto le difficoltà e i problemi, fin quando non ci siamo resi conto che era più semplice avere un’azienda in Cina che costruire una fabbrica a Campello. Qingdao aveva le infrastrutture di cui avevamo bisogno: un porto, un aeroporto e una scuola internazionale necessaria per la formazione di cinesi. Attualmente la società ha un fatturato di 10 milioni di euro, investimenti per 4 milioni di euro, a Campello sono rimaste le attività di sviluppo e ricerca e stabiliamo le strategie da applicare alla componentistica mentre continuiamo ad espanderci all’estero con sedi in varie parti del mondo: nel 2009 negli Stati Uniti e nel 2011 in India. In Cina ogni anno si producono 18 milioni di veicoli e noi forniamo il 15-20% mentre siamo presenti con il 30% sui mercati internazionali, con prodotti di alta tecnologia. Quali sono i vantaggi della Cina? Prima di tutto la liquidità che di questi tempi è molto importante, poi le agevolazioni fiscali iniziali che ci hanno permesso di assumere i primi due anni 140 persone. La Cina è un posto particolare ma non bisogna avere nessun timore nell’affrontare questo mercato, basta prepararsi informandosi sui fattori di rischio e sulle opportunità. Guardando al percorso compiuto, penso che questa avventura sia stata possibile perché è stata affrontata con intuito, coraggio ed entusiasmo. Poi ho avuto la fortuna delle istituzioni che, nella fase iniziale, hanno creduto nel mio progetto e mi hanno supportato economicamente. Quando mi chiedono: quali sono gli ingredienti del successo? Rispondo: intuito, fortuna e una moglie con i soldi. Mia moglie non aveva i soldi ma è andata bene lo stesso.