Papale papaleGoverno tecnico allo Ior

Intervenne la procura, l’Unione europea monitorò i conti, gli Stati Uniti fecero pressione, si mossero i grandi capitali transnazionali, e alla fine il presidente mollò. No, non è la storia di Berl...

Intervenne la procura, l’Unione europea monitorò i conti, gli Stati Uniti fecero pressione, si mossero i grandi capitali transnazionali, e alla fine il presidente mollò. No, non è la storia di Berlusconi e Monti, ma quella di Ettore Gotti Tedeschi e dello Ior.

Italiani, europei o americani, una cosa accomuna gli interlocutori dell’Istituto per le Opere di Religione: rischiano tutti di scippare al Vaticano la propria sovranità finanziaria. Gli italiani, innanzitutto. La procura di Roma iscrisse al registro degli indagati Ettori Gotti Tedeschi e il direttore generale dell’istituto Paolo Cipriani (oggi ai ferri corti) sequestrò, nel dicembre del 2010, un trasferimento anonimo di 23 milioni di euro che transitava – sospettosamente, per l’accusa – dallo Ior alla JP Morgan Frankfurt (20 milioni) via Credito artigiano e alla Banca del Fucino (3 milioni). “Qualche tempo dopo – ricorda il Sole 24 Ore – il rapporto tra lo Ior e la JP Morgan si interrompe davanti al rifiuto dell’istituto vaticano di fornire alla società Usa informazioni relative ad alcuni accertamenti disposti da Bankitalia”. Nel frattempo, l’anno scorso, piazzale Clodio ha aperto una seconda inchiesta su un’ipotesi di riciclaggio di denaro sporco che coinvolgerebbe sempre lo Ior. E’ nel quadro di questa seconda inchiesta che gli inquirenti romani si sono inseriti nell’indagine su Finmeccanica avviata dalla procura di Napoli, hanno interrogato – stavolta come persona informata dei fatti – Ettore Gotti Tedeschi ed hanno acquisito parte del materiale sequestrato al banchiere piacentino. Un’appropriazione che ha allarmato non poco il Palazzo apostolico, se lo scorso 8 giugno la sala stampa vaticana ha diffuso un comunicato nel quale la Santa Sede ha avvertito di riporre “nell’autorità giudiziaria italiana la massima fiducia che le prerogative sovrane riconosciute alla Santa Sede dall’ordinamento internazionale siano adeguatamente vagliate e rispettate”. Il timore, insomma, è che gli inquirenti italiani, scartabellando nei documenti dell’ormai privato cittadino Gotti Tedeschi, mettano il naso in delicate questioni riservate dello Stato del Vaticano.

Il tutto – va ricordato – dopo che nei mesi scorsi dal Governo italiano erano partite le pressioni perché l’istituto con sede nel torrione di Niccolò V collaborasse su una vicenda antica ma mai risolta. Quando il ministro della Giustizia Paola Severino (legale di Gotti Tedeschi fino all’incarico di Guardasigilli nell’esecutivo guidato da Mario Monti) attraverso il capo del dipartimento per gli Affari di giustizia Eugenio Selvaggi – lo riferì a febbraio La Repubblica – assicurò alla magistratura romana l’intenzione di mettere in atto “tutte le condotte possibili per spingere lo Ior a collaborare nelle indagini sulla morte del presidente del Banco Ambrosiano Roberto Calvi e sui soldi della mafia transitati in passato nell’istituto vaticano”.

C’è poi la partita europea. O meglio, la partita dell’euro. Firmando una convenzione monetaria con Bruxelles, il 17 dicembre 2009, il Vaticano si è impegnato ad adeguare la propria normativa su tre fronti: la coniazione degli euro con l’effige papale (il Vaticano è tenuto a far circolare una certa quantità delle proprie monete e non riservarle ai soli collezionisti), la prevenzione della frode e la lotta al riciclaggio di denaro sporco. Con motu proprio del Papa del dicembre 2010 il Vaticano ha promulgato una prima legge sulla trasparenza, poi emendata da un decreto del 25 aprile 2011. La ragione della riscrittura – all’origine, tra gli altri motivi, dello scontro tra Gotti Tedeschi e il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone – è l’esigenza della burocrazia vaticana di salvaguardare, ancora una volta, la propria sovranità finanziaria. Evitando di dare troppo peso alla neonata authority finanziaria guidata dal cardinal Attilio Nicora (Aif) e cassando la previsione di retroattività che avrebbe permesso ai funzionari europei di indagare su conti correnti e movimenti finanziari passati dello Ior. “Ormai il Vaticano non confina più con l’Italia, ma con l’Unione europea”, affermano, con un filo d’apprensione, nei sacri palazzi. E’ peraltro inevitabile, in un mercato finanziario globalizzato, che il Vaticano si confronti non più con i palazzi della politica italiana, ma con Wall Street. Lo hanno dimostrato, nei mesi scorsi, la decisione di rassicurare la City con un intervento sul Financial Times, all’epoca in cui Gotti Tedeschi e Cipriani furono indagati dalla procura di Roma, o, mutuando dalla finanza islamica, il coinvolgimento del Vaticano in un’operazione transnazionale come lo Stoxx Europe Christian Index. L’allentamento delle norme e il siluramento di Gotti Tedeschi, però, mettono in forse l’ingresso del Vaticano nella white list dei paesi impermeabili al riciclaggio di denaro sporco che Moneyval – l’organismo del Consiglio d’Europa incaricato di monitorare sulla trasparenza finanziaria degli Stati membri – deciderà nella riunione plenaria che si terrà a Strasburgo dal due al sei luglio prossimi.

Infine, ci sono gli americani. A silurare Gotti Tedeschi dalla presidenza dello Ior è stato il consiglio di sovrintendenza dell’istituto, con un’operazione capitanata da Carl Anderson, capo dei Cavalieri di Colombo, ricchissima lobby cattolica statunitense vicina ai Repubblicani (ne hanno fatto parte parte il fratello di Georg W. Bush e Rick Santorum). Gestiscono un immenso patrimonio assicurativo, hanno il rating fisso della tripla AAA da Standard&Poor’s e negli ultimi anni hanno foraggiato i bilanci dimagriti del Vaticano. Potrebbe essere proprio Anderson – o un suo uomo – il prossimo presidente dello Ior. L’alternativa più probabile è che Gotti Tedeschi venga succeduto da un tedesco. La Conferenza episcopale tedesca, del resto, è la principale benefattrice dei bilanci vaticani, ed è logico pensare che chi più sborsa voglia contare maggiormente nelle decisioni finanziarie. Si fanno i nomi dell’ex gran capo della Bundesbak, l’anziano Hans Tietmeyer, o dell’attuale reggente dello Ior, Ronaldo Hermann Schmitz, ex amministratore delegato di Deutsche Bank. Connazionali del Papa, in un momento in cui la Germania di Angela Merkel la fa da padrona nei mercati finanziari, un tedesco potrebbe rappresentare un buon viatico anche con Moneyvall. Ma sancirebbe la fine dell’italianità dello Ior (paiono infondate le candidature di Antonio Fazio e Cesare Geronzi), una diminutio, in seno all’istituto, del ruolo sinora svolto dal collegio cardinalizio di vigilanza, e l’ascesa dei “grandi benefattori” tedeschi o statunitensi. Proprio mentre, in vista del prossimo Conclave, attualmente solo ipotetico, crescono le quotazioni di cardinali statunitensi come Timothy M. Dolan (New York) o Sean O’ Malley (Boston) e, quasi in una contrapposizione geopolitica che ormai scarta i “papabili” italiani, quelle del cardinale canadese Marc Ouellet. C’era una volta un Vaticano sovrano, c’era una volta un Vaticano italiano.

X