Di solito qui sopra io scrivo di cinema. Di fiction, di storie inventate, di altri mondi, di altre dimensioni. E anche quando mi immergo nei film più dolorosi, mi consola sempre la consapevolezza che quello che ho visto non è esattamente la realtà, anche se la richiama magari. E alla fine sempre, comunque, poi, riesco di nuovo a respirare.
Oggi invece mi è capitato di guardare un filmato che mi ha inchiodata alla realtà. Una realtà che ogni giorno leggo sul giornale, ma in pagine sempre più lontane dalla prima. Una realtà che vedo in tv, ma ormai sempre più raramente in apertura.
È un video che monta tutte insieme le foto scattate quest’anno in Siria da un coraggioso (che coraggio! che generosità di sé!) fotografo italiano, Alessio Romenzi, che è riuscito a entrare nel cuore di quel Paese dilaniato, un cuore dove stanno le donne, i bambini, i vecchi, i guerriglieri al centro di una guerra folle, di fratelli contro fratelli. Di un presidente contro il suo popolo. Una guerra di 14 mila morti (a oggi), tutti siriani, tutti parenti, tutti amici, tutti vicini di casa.
E qui, in queste foto, vedo occhi di terrore, mani alzate, rovine, silenzi, passi zoppi, cadute, fucili, orsetti di pezza senza più bambini, bandiere, fango, veli, bende, denti, rughe. dolore, dolore, dolore. follia, che diventa quotidiano. quotidiano che ormai è solo follia.
E dentro queste immagini stordisce ancora di più il nostro silenzio, nostro di noi che stiamo in Europa, in America, in Asia, in Africa. Promotori solo di parole afone e vuote, paralizzati dentro equilibri fragili e ciechi, dove il petrolio conta più di un popolo intero.
Guardo e riguardo queste immagini, per non dimenticare stasera quando metterò a letto i miei bambini, quando accenderò il ventilatore perché non abbiano troppo caldo, quando distribuirò baci, favole e promesse per l’indomani, che la realtà non è solo questa mia. E il respiro mi si fermerà di nuovo, e sarà giusto così.