Acquistare fan su Facebook o follower su Twitter non è poi così difficile. Periodicamente la questione emerge in rete. L’anno scorso ad attirare l’attenzione fu l’esponenziale crescita in poco tempo del numero di fan della pagina di Letizia Moratti su Facebook. In questi giorni sta facendo notizia una ricerca condotta da Marco Camisani Calzolari sul confronto fra utenti umani e bot fra i follower delle principali aziende mondiali per numero di follower. La trovate qui. Il dato interessante è che molte aziende hanno un tasso elevato di follower i cui comportamenti corrispondono a robot, ovvero non hanno profili aggiornati, non twittano, non sono ritwittati. Come precisa l’autore della ricerca a Repubblica.it “Non possiamo essere certi che siano finti utenti, ma ne hanno le caratteristiche”. Qui anche l’articolo de La Stampa.it che riprende il tema.
Senza entrare nel merito della ricerca, che in ogni caso amplia la nostra conoscenza del mondo di Twitter, sistematizzo una serie di riflessioni su cui da tempo sto ragionando anche grazie a una conversazione “twitteriana” con, fra gli altri, @GBA_mediamondo, @mafedebaggis @vincos @suzukimaruti.
In verità su come si comportino gli utenti di Twitter ne sappiamo davvero poco. Secondo Twitter stesso, sono 140 milioni gli utenti attivi e 340 milioni i tweet giornalieri. E’ più difficile risalire al numero reale degli utenti per capire il rapporto fra utenti registrati e utenti attivi, e soprattutto non è noto il livello di implementazione dei profili e su quali parametri si basi il discrimine fra utente attivo e utente non attivo. Altri dati (es. quelli riportati da Luca Conti) ci dicono che un ridotto numero di utenti pubblica la maggioranza dei contributi. Di conseguenza molti utenti aprono un profilo ma non lo alimentano, non lo aggiornano o semplicemente lo usano come strumento di lettura e di aggregazione di contenuti. Oppure sono robot.
Il tratto distintivo della comunicazione aziendale sui social network è la relazione diretta con gli utenti distinguendosi dal modello di broadcasting dei media tradizionali. Pensare in termini di fan e follower, parametri figli in un certo senso della “cultura dell’Auditel”, non ci dice il livello, la qualità, l’efficacia della comunicazione: occorre fare leva anche su altri strumenti per pianificare le strategie e comprendere i risultati ottenuti. Non si può negare, però, che i numeri facciano sempre notizia e che per dimostrare che un fenomeno è degno di essere raccontato si faccia ricorso a tabelle e percentuali. Molto spesso, inoltre, i numeri sono gli unici dati a disposizione. Fa parte della logica del sistema anche se non esime da errori e dalla diffusione di bufale.
Le piattaforme potrebbero fare la loro parte fornendo dati sugli account, sulle statistiche di utilizzo, sull’articolazione socio-demografica e geografica degli utenti. Si tratta di un’operazione complessa e costosa ed è chiaro che la trasparenza potrebbe non andare di pari passo con le stime economiche, le quotazioni di borsa, l’attrattiva degli investitori. Potrebbe però aiutare a fare luce sulle reali portate di questi fenomeni ed evitare la diffusione di dati non controllati.
Questi dati andrebbero inquadrati in una comprensione più dettagliata delle abitudini e dei comportamenti degli utenti sui social network. Il che vuol dire trattare sistematicamente i social media come campo di ricerca indagando le abitudini e le pratiche degli utenti. Ovvero si tratta di capire, per esempio, chi sono gli utenti sui social network, come li usano, che età hanno, dove si distribuiscono geograficamente, quali contenuti pubblicano, per quali scopi hanno deciso di aprire un profilo. Numerose ricerche stanno andando in questa direzione, ad alcune ho anche avuto il piacere di partecipare, e ci hanno mostrato dei dati sorprendenti, come il fatto che Facebook serva per coltivare le relazioni già esistenti anche senza pubblicare contenuti personali ma monitorando quanto pubblicano gli altri e utilizzando i canali di conversazione privata (DM e chat), che usare molto i social network non è sintomo isolamento sociale (semplifico e chiaramente escludo i casi patologici) o che certe aziende, pur senza avere un gran numero di fan o follower in termini assoluti, sanno ricreare un mondo sui social network dove gli utenti esprimono la loro passione per il brand attraverso elevati livelli di coinvolgimento (like, commenti, share).