Oggi è il giorno sbagliato per scrivere di queste cose, ma tant’è. Non ho scelto io. Oggi è un anno da quando è mancato mio padre, e faccio ancora molta fatica a scriverne, e se non fosse per una coincidenza, anzi una serie di coincidenze, avrei tenuto questo post in un cassetto a doppio fondo nel cervello.
Sono giorni che mi risuona un ritornello in testa, a ogni notizia o annuncio oppure oggetto che incontro per strada o su facebook. C’è un’amica che come me ha perso il padre, i suoi post alla memoria su facebook mi straziano, non so cosa dovrei fare: rispondere? Commentare? Cliccare sguaiatamente ‘mi piace’?
Una compagna del Normannino ha perso il nonno. E il Normannino proprio pochi giorni fa recitava che anche lui i nonni non ce li ha più. Uno è morto e uno è andato ad abitare altrove (i miei suoceri sono separati). E la Normanna, che dice: niente, le si spezza il cuore. Facciamo finta di niente e diciamo che comunque ti son rimaste le nonne, e che nonne. E lui ride.
Oggi mentre scrivevo le condoglianze mi ha raggiunto la notizia di un amico che alla mia età se ne va per un tumore, eccheccazzo basta. Domani andrò al funerale e come sempre odierò tutto quanto. Poi tornerò a casa o in ufficio cercando di smaltire le scorie, e consolandomi con il ritornello che mi risuona ancora adesso nella testa.
Questo ritornello è una frase, un incipit. Forse è come comincerò il libro che voglio scrivere ispirandomi a Paul Auster e all’Invenzione della solitudine. Con quel quadro in copertina, quel quadro che mostra mio padre giovane tanto che non sembra lui. “Mio padre era un signore” dice il ritornello, ed è precisamente quello che vorrei dicessero i miei figli, quel giorno. Quel giorno lì, avete capito.