Quando si dice la realtà che supera la fantasia. Nel libro I terribili segreti di Maxwell Sim Jonathan Coe descrive un personaggio femminile che di mestiere produce alibi. Se non sbaglio, il protagonista la incontra in un aeroporto mentre lei registra i rumori e gli annunci di sottofondo degli aerei in partenza che potranno poi tornare utili a eventuali mariti fedifraghi.
In Giappone devono aver pensato già da un pezzo che fornire alibi può costituite un servizio remunerativo e, in qualche misura, di pubblica utilità: esistono ormai da più di un decennio società dedicate alla fabbricazione di complesse giustificazioni: in questo caso non si tratta di semplici tradimenti coniugali, ma della costruzione di identità assai più elaborate.
Tali società si chiamano alibi-ya, dal termine alibi in inglese, cui si aggiunge il suffisso -ya che indica l’attività di vendita.
L’esempio più ricorrente di chi si rivolge alle alibi-ya è quello delle prostitute o di chi opera nel mondo del porno. Il rispetto della morale pubblica è molto sentito in Giappone e, pur di non rivelare la propria sgradevole professione a parenti e amici con immaginabili ripercussioni drammatiche, è più facile rivolgersi a queste aziende. Ma anche per prendere un appartamento in affitto è meglio avere un lavoro e una personalità di scorta.
Tutto è organizzato in modo rigoroso – siamo in Giappone, del resto. Il cliente possiede biglietti da visita personalizzati, riceve una fittizia busta paga, può persino ingaggiare un finto capo per il suo matrimonio. Se qualcuno compone il numero impresso sul biglietto da visita, una gentile voce di segretaria informerà che la persona chiamata si è momentaneamente allontanata e, dopo aver riagganciato, si premurerà di contattare il diretto interessato nel vero luogo in cui si trova per avvisarlo.
Il grado di sofisticazione della società giapponese è tale che il nostro banale e mediocre immaginario della casalinga procace dedita a registrare filmini casalinghi con amatori improvvisati viene surclassato da sovrastrutture ben più articolate.
Ma non ci sono solo le alibi-ya: come raccontava tempo fa il “New York Times”, nelle stazioni principali delle maggiori città giapponesi si possono trovare anche comodissimi negozi che vi consentiranno di acquistare i souvenir dalle più disparate località del paese anche se quel giorno non vi siete mossi (magari perché eravate in piacevole compagnia all’hotel a due passi dalla stazione).
Le alibi-ya non sono illegali, ma certo operano su un confine ben labile: è notizia recente che la polizia sta tenendo d’occhio le loro attività. Una compagnia è stata messa sotto accusa per aver fornito una falsa documentazione grazie a cui due persone hanno ottenuto un sostanzioso prestito in banca. In tempi di crisi potrebbe essere troppo rischioso giocare con la realtà, anche se questa messinscena carnevalesca ha un che di liberatorio per una società così ingessata come quella nipponica (a patto che non si sappia troppo in giro!).
Dopo tutto, come diceva Lord Byron, una bugia cos’è? Nient’altro che la verità in maschera.
6 Giugno 2012