Vita dura, di questi tempi, per le facce. Pochi giorni fa da Miami è giunta la notizia di un crimine aberrante: in un sottopassaggio un uomo nudo stava divorando il volto di uno sfortunato passante. Non ha sospeso il macabro rito nemmeno dopo la prima fucilata della polizia, che ha dovuto ucciderlo per interromperne il pasto. Pochi giorni prima, gli studenti di una scuola a Miami sono stati contaminati da una strana eruzione cutanea, che ha trasformato le loro facce in maschere di sangue. Vari episodi di questo genere hanno innescato il timore diffuso che si fosse innescata un’epidemia in grado di generare la zombie apocalypse – tanto da indurre la CDC (l’agenzia americana per il controllo e la prevenzione delle malattie) a divulgare una smentita tramite l’Huffington Post.
Prima che gli zombie si mangino tutto quello che c’è di interessante da vedere, Facebook ha manifestato il suo interesse per l’acquisto di Face.com, una società specializzata in face recognition, ovvero nello sviluppo di un software capace di mappare le immagini dei volti e di stabilire l’identità del loro proprietario. L’offerta si aggirerebbe tra gli 80 e i 100 milioni di euro (circa un decimo del valore assegnato a Instagram).
Google possiede già un dispositivo di riconoscimento dello stesso genere, che è all’opera all’interno del servizio Picasa: la sua funzione è quella di identificare e di taggare le persone che appaiono raffigurate nelle fotografie caricate dagli utenti. Molto più rilevante dal punto di vista dell’impatto sul pubblico è il progetto di inserire la face recognition nei nuovi occhiali inventati dai laboratori di Mountain View. I Google glasses sono un paio di occhiali che permettono a chi li indossa di «leggere» la realtà attraverso informazioni che appaiono sulle lenti come nei film di Mission Impossible. La face recognition avrebbe permesso di compiere esperienze come la visualizzazione del nome delle persone che si incontrano per strada, o la scoperta di quali amici si hanno in comune sui social network.
Il KGB, la Stasi e la CIA, ai tempi d’oro della guerra fredda, si sarebbero accontentati di molto meno. Anche l’Electronic Privacy Information Center, un gruppo dedicato alla ricerca e alla protezione della privacy, si è accorto di questa evidenza, e ha invocato l’intervento dell’FTC perché bloccasse lo sviluppo del progetto di Google. Nonostante il fascino dell’esplorazione scientifica e lo slancio di innovazione tecnologica, la possibilità di individuare nomi e caratteristiche di chiunque capiti di incontrare in giro, aprirebbe incredibili orizzonti di possibilità per stalker, folli omicidi, maniaci – e naturalmente per gli zombie, che si troverebbero davanti ad un menù di leccornie tra cui scegliere.
È un peccato che di questa tecnologia si possa fare un uso fraudolento, soprattutto per chi come me ha 90 possibilità su 100 di rimanere intrappolato nel limbo tra «so che lo conosco» e «non ricordo come si chiama né dove l’ho visto, forse pascolava con me nei chiostri dell’università», quando incontra qualcuno per caso. Concorre anche una certa dose di curiosità intellettuale, visto che il riconoscimento dei volti gravita attorno ad un vero e proprio mito dell’intelligenza artificiale, quello della «cellula della nonna». L’espressione è stata coniata nel 1967 da Jerry Lettvin per spiegare il modo in cui il cervello umano sarebbe in grado di riconoscere un certo oggetto, indipendentemente dall’aspetto che si presenta di volta in volta: il neurone deputato al riconoscimento della nonna sarebbe quindi in grado di identificarla anche se l’immagine che ci si presenta sulla retina è sempre diversa, se osserviamo il suo volto di fronte o di profilo, se ha cambiato pettinatura o occhiali, o se il tempo ha inciso sulla sua faccia i segni inesorabili del tempo.
Il numero di neuroni per riconoscere gli oggetti nel mondo dovrebbe crescere in misura sterminata, uno per ogni oggetto, e si rischierebbe di ignorare la nonna in caso di scomparsa del suo neurone. I problemi della teoria sono innumerevoli, e sembra interessante il modo in cui Google e Face.com hanno tentato di superarli. Ma più che la scienza, poterono gli zombie.