Main StreetL’importanza di essere Nalbandian

Tra applausi, sorrisi, strette di mano e autografi che hanno mascherato la tensione, il tennista argentino David Nalbandian, ex n.3 al mondo e “bestia nera” di Roger Federer nel circuito juniores, ...

Tra applausi, sorrisi, strette di mano e autografi che hanno mascherato la tensione, il tennista argentino David Nalbandian, ex n.3 al mondo e “bestia nera” di Roger Federer nel circuito juniores, è tornato a giocare un match dopo la tecnicamente sanguinosa finale del Queen’s di domenica 17 giugno. Per tornare in campo ha scelto il Boodles, un torneo di esibizione (preparatorio per Wimbledon) che negli ultimi anni si è affermato come un must, dando agli spettatori l’opportunità di mescolarsi a stretto contatto con l’elite del tennis mondiale.
Per qualche secondo avevo pensato che Nalbandian si trovasse tra i condannati con la barba lunga e le divise a righe che scappano inseguiti dalle sirene e dai fasci di luce dei riflettori, ma invece lui era lì, a Stoke Park, circa 25 miglia a ovest di Londra, pronto a incrociare la racchetta con “Nico” Almagro, anch’egli imbarazzato di riflesso. Il mio vicino di posto, un cinquantenne di Portsmouth, si tirava pacche sulle ginocchia e indicava con il dito l’argentino come fosse davanti a un clown del circo, mangiucchiando popcorn da una scatola che non capivo da dove fosse saltata fuori.
Ma chi è David Nalbandian da Cordoba? E’ uno geneticamente predisposto a diventare un campione. La cosa brutta del talento – dall’idea che mi sono fatto – è che devi esserne all’altezza. Il talento può essere niente, se non è accompagnato da una serie di altre qualità caratteristiche dell’atleta che lo rafforzano, come l’attitudine ad allenarsi duramente, la capacità di concentrazione e via dicendo. Un momento: non sono qui a fare il pistolotto moralistico contro il genio e sregolatezza. Dico solo che il talento è una magica scatola vuota che va riempita.
Cosa ha fatto David Nalbandian? Il “mostro sbattuto in prima pagina” ha ferito allo stinco l’anziano giudice di linea Andrew McDougall, dopo aver tirato un calcione al cartellone pubblicitario che poi ha urtato la gamba del giudice. Il video che riproduce la dinamica grottesca dell’incidente sfiora il milione di visualizzazioni su YouTube. Per l’argentino di origini piemontesi (dal lato materno) le cose si mettono subito male: squalificato dalla partita e dal torneo (in quello che nel gergo tennistico si chiama un po’ crudelmente default), privato del premio in denaro di 36.100 sterline che avrebbe ricevuto come finalista al Queen’s, è stato anche multato di 10.000 euro dal Supervisore dell’Atp Tom Barnes per condotta antisportiva. Ma la cosa più grave è la denuncia per aggressione, sporta da McDougall che non ha accettato le scuse del vincitore della Master Cup 2005 che rischia di pagare un prezzo sin troppo salato per uno scatto di collera.
I trader di Wall Street direbbero che David non è un uomo capace di prendersi rischi calcolati. Io dico che ha compiuto un gesto stupidamente violento, ma non andrei così lontano nel farne un oscuro mito di mangiabambini che contamina l’immacolato circuito professionistico. Una sua eventuale squalifica dal circuito sarebbe ingiusta, ma soprattutto suonerebbe come un’involontaria campagna pessimamente orchestrata dall’Atp. Un’organizzazione che trasforma un gatto selvatico in una tigre per tutelare la sua immagine, in realtà non fa altro che infliggere un colpo di grazia non intenzionale alla credibilità di se stessa.
Pensavo a questo mentre il mio vicino continuava a sgranocchiare popcorn.

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