L’ultimo giorno di scuola non è un giorno di scuola. È un baccanale. Un tripudio di schifezze goderecce che vagano di banco in banco e di urla forsennate che si sono impadronite degli alunni. Questi si sbracciano in preda al delirio, avvinazzati di cocacola e scattano foto come se l’aula si fosse trasformata in una passerella di alta moda.
Le ragazze sbrilluccicano di radiosa bellezza che lo studio di nove mesi non è riuscito a far sfiorire. I maschietti già a questa età sono in balia del gentil sesso e si lasciano avvinghiare in mistici abbracci, i più tranquilli invece fanno comunella tra loro. Tornano alla ribalta tutte le regole di una normale sopravvivenza.
L’ultimo giorno di scuola è il più bello dell’anno (almeno per gli studenti). Neanche la festa di Natale col suo clima da “volemose tutti bene” o quella della festa dello sport, è paragonabile alla gioia e all’eccitazione di una festa come questa, rubata alla scuola e in barba alle indicazioni del Dirigente Scolastico.
Noi prof in tutto questo non contiamo più nulla. Il nostro dovere l’abbiamo già fatto e non possiamo opporci alla natura degli studenti scatenati così come agli agenti atmosferici improvvisi. Bisogna solo avere l’ombrello al momento giusto, se piove. E possiamo solo osservare indolenti e rassegnati tutto il loro entusiasmo. Se ne mettessero almeno un quarto nello studio e nell’applicazione in classe e a casa, avremmo tutti dei geni. Made in Italy.