Era trascorso poco più di un mese dall’arrivo dei tre piccoletti quando una sera, mentre li guardavo dormire, ho trovato la calma di lasciarmi andare a qualche riflessione. Erano così calmi, così distesi, così belli nel loro sonno di bambini che quasi mi sembrava di essere calma anche io. E mi sono chiesta: “Starò facendo il possibile per loro? Perché ho la sensazione di tralasciare qualcosa di importante?”. Vista da fuori, penso che fossi quanto di più simile al ritratto della brava mamma: preparavo colazioni, li svegliavo tra mille attenzioni, li vestivo, ci parlavo, organizzavo loro dei giochi insieme al papà, poi si andava al parco, poi si tornava a casa, poi il bagno, poi ancora coccole e giochi e chiacchiere, infine la cena, la preparazione per la notte. La colonna sonora ovviamente non era quella del Mulino Bianco ma casomai di un concerto dei Sex Pistols, perché ogni fase era contrassegnata da euforie, agitazioni, corse, spinte, rotolamenti, pianti e pazze risate. Ma insomma il mio sforzo di tenere insieme tutti i pezzi riusciva abbastanza e malgrado io e mio marito terminassimo le giornate sfiniti sul divano a parlare di come era andata oggi e come sarebbe andata domani, l’impressione generale era positiva. Vista da dentro però, non riuscivo a liberarmi dalla sensazione di sbagliare qualcosa, e qualcosa di grosso.
Mancava un po’ d’immaginazione, tutto questo fare e strafare in realtà impediva il libero gioco dei pensieri, facevo tantissimo, ma c’ero pochissimo. E allora mi sono ricordata di una cosa che faceva mia madre con me: la mattina, appena alzata, durante la colazione, lei mi chiedeva: “Cosa hai sognato?”, o in alternativa: “Sai, questa notte ho sognato…” E si parlava di sogni, veri o presunti, di significati nascosti, di voli pindarici. Nei sogni, tutto è possibile. Ho ripescato quella memoria (perché poi è così che funziona, quando non si sa dove andare a parare si ritorna alle cose che ci sono state trasmesse) e l’ho proposta una mattina ai nostri figli. È stato un successo: anche se nessuno di loro probabilmente aveva sognato niente, hanno cominciato a fantasticare di delfini volanti, di balene che inseguivano farfalle, di elefanti minuscoli e topolini giganteschi. E piano piano anche io ho avuto la sensazione che si stesse non solo facendo cose per arrivare a fine giornata, ma costruendo una relazione.
“Mamma, cos’hai sognato?”, chiede adesso Sofia ogni mattina ancora nel letto. “Che mi erano cresciute le ali, ma avevo paura di volare perché non ero sicura che avrebbero funzionato”. “Forse non hai visto che in mezzo alle ali c’era un bottoncino nero, lo dovevi spingere, se no le ali non funzionano e cadi”. “Mi sa che hai ragione, lì per lì non ci ho pensato”. Ci ha pensato un po’ e poi ha aggiunto: “beh, se per caso stanotte rifai questo sogno ci puoi provare… Ricordatelo, è un bottoncino nero molto piccolo proprio in mezzo alle ali”. Promesso, ci proverò.
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