Il Garante [della Privacy] e’ organo collegiale costituito da quattro componenti, eletti due dalla Camera dei deputati e due dal Senato della Repubblica con voto limitato. I componenti sono scelti tra persone che assicurano indipendenza e che sono esperti di riconosciuta competenza delle materie del diritto o dell’informatica, garantendo la presenza di entrambe le qualificazioni.
(art 153 del D.lgs. 196/2003)
La norma è chiara e inequivocabile. Devono essere imparziali e indipendenti: questi, infatti, insieme alla riconosciuta professionalità ed esperienza nel settore, avrebbero dovuto essere i requisiti cui informare le nomine dei membri delle Autorità delle Comunicazioni e del Garante della Privacy, appena formalizzate.
Criteri precisi e stringenti forniti da un testo normativo, per una volta chiaro, ma fin troppo facilmente aggirabile. A quanto pare.
Eppure avrebbero dovuto essere, ma non sono stati.
Ancora una volta, la politica induce, da artefice, il dilemma tragico del bivio: la scelta tra uniformarsi, rispettandola, a ciò che dice la Legge o piegare semplici parole, significative nell’insieme e nel significato, a scopi ulteriori. Altri e diversi. Purtroppo, fin troppo spesso, preferendo la seconda opzione.
Non ci voleva un esperto di diritto, né un navigato burocrate statale, per capire che la dizione “Autorità Amministrative Indipendenti” ha un significato semantico preciso. Non giuridico né politico, ma linguistico. Secondo il comune senso della lingua italiana.
Cosa non ha capito il Parlamento – che, dati i tempi, si hanno remore morali e di variegata altra sorta, a definire Legislatore – dell’aggettivo Indipendenti?
Indipendenti sono state pensate, perché potessero esercitare la funzione di regolazione di settori e mercati strategici in piena autonomia dall’Amministrazione dello Stato e dalla Politica. Ideate, su ispirazione delle Agenzie federali americane, agli inizi degli anni 90, per operare bene e in piena libertà in aree dove la tangenza con la politica avrebbe rischiato di rivelarsi controproducente.
Pensate per un obiettivo necessario, ma pensate già male in partenza affidandone la nomina dei membri alle scelte politiche, e non sempre nell’ interesse collettivo, del Parlamento.
Abbiamo costruito una macchina efficiente per crescere e migliorare, progettandola senza le ruote. Un gigante acefalo. Una cosa inutile.
Questa settimana si è consumato l’inevitabile, che sarebbe stato, con così poco, evitabile. Politici nominati da politici che devono essere indipendenti dalla Politica; esperti del settore informatico e giuridico, che si scoprono tali, quasi a loro insaputa, dopo una vita trascorsa e condivisa fra i manuali di dermatologia e la carriera politica. Finanche mogli illustri di noti presentatori televisivi, avvantaggiate dalla preparazione e dalle amicizie eccellenti, che neanche verranno sfiorate dal sospetto di un latente conflitto di interessi.
La meraviglia non nasce dallo spettacolo spudorato di una politica, fin troppo poco decente, ma dalla pessima figura linguistica che abbiamo fatto. Cultori della lingua e fieri dantisti, come ci vantiamo nel mondo di essere, siamo caduti sull’interpretazione di un semplice aggettivo. Un intero Parlamento incapace di comprenderne il significato.
Eppure, indipendenti, non pareva ai più un difficile e barocco arzigogolo. Anzi, un concetto semplice e immediato, dietro cui si celano secoli di storia e di lotta.
Dovremo quindi lottare ancora per liberarci da un nemico pericolosissimo: l’ignoranza. Forse, domani, potremo ridare dignità alla scienza di dare significato alle parole: la semantica.
Tanto rumore ed era solo un aggettivo. Figuriamoci quando a destare problemi sarà un intero periodo.