A metà tra la terra e il cieloStoria di una volontaria alla mensa dei poveri

“Ogni volta che varco quella porta mi lascio alle spalle un mondo per abbracciarne un altro”. A parlare è Mariachiara, 22 anni, studentessa universitaria, da due anni impegnata a prestare servizio ...

“Ogni volta che varco quella porta mi lascio alle spalle un mondo per abbracciarne un altro”. A parlare è Mariachiara, 22 anni, studentessa universitaria, da due anni impegnata a prestare servizio al pranzo dei poveri presso la Mensa Madre Eugenia Menni di Brescia (sostenuta dalla Caritas Bresciana, dall’associazione Casa Betel e dall’ufficio migranti). “Un mondo a due passi dalla mia vita divisa tra studio e uscite con gli amici, ma che, finché non l’ho guardato dritto negli occhi, non lo immaginavo neanche”.

Tante sono le storie che quell’edificio in Via Vittorio Emanuele II accoglie ogni giorno per l’ora di pranzo: “Ci sono drogati, ubriachi, ma anche anziani che non arrivano a fine mese. Moltissimi poi i giovani stranieri senza lavoro”. La sala che conta 93 posti distribuiti su tavolini da quattro si colora del blu delle tovaglie e del sorriso dei volontari che servono pasti caldi e regalano una parola di conforto per creare un’atmosfera di casa e di famiglia là dov’è il deserto della solitudine. “Anche se sappiamo poco di loro ci trasmettono tanto. Ho conosciuto ragazzi in cerca di un futuro, pronti a lavorare e a costruire il loro domani passo dopo passo. Sono marocchini, tunisini o algerini, coetanei con i mei stessi bisogni, sentimenti e difficoltà”.

Quegli sguardi offuscati da dolore e da delusioni forti non hanno più abbandonato la giovane ventiduenne bresciana che puntualmente ogni venerdì si trova calata in quel mondo parallelo, così vicino e così lontano dalle tranquille vetrine scintillanti del centro. “Di fronte a tanta povertà nasce spontaneo il desiderio di aiutare tutti e in tutti i modi. Ovviamente ciò non è possibile ma mi rendo ugualmente conto di quanto il mio sostegno seppur minimo e quasi insignificante incida invece sugli altri”.

Mariachiara ci insegna una cosa: non è necessario partire per i Paesi del Terzo Mondo né diventare supereroi per fare del bene. Un sorriso e tanto entusiasmo, queste le armi di partenza; poi costanza, pazienza e volontà. Non mancano infatti litigi o lamentele tra gli ospiti seduti a tavola. Ma nonostante questo e nonostante tutti i disagi ricorrenti sembra che si stia costruendo un ponte tra i volontari e gli abitanti invisibili della strada: “A volte mi capita di incontrarli in centro. Allora mi fermo, scambio due parole e ascolto quello che hanno da dirmi. Mi rendo conto infatti che ciò di cui più hanno bisogno è sapere che qualcuno vuole loro bene”.

Un’esperienza, questa, che fa crollare certezze e pone interrogativi. Mariachiara è la sorridente ragazza di sempre ma qualcosa è cambiato in lei. “Non esiste solo il mondo circoscritto agli amici e agli studi. Siamo calati in una realtà più grande dove ognuno dovrebbe recitare la propria parte. Se noi giovani vogliamo incidere positivamente sulla società dobbiamo partire innanzitutto da questi piccoli gesti. Lì, tra quelle mura, si compie ogni giorno il primo passo verso l’integrazione tra italiani e stranieri in vista di una prossima società multietnica”. Si può cambiare il mondo, basta volerlo.

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