La prima volta che la mia strada incrociò quella di Alessandro Bosetti, mi trovavo in un piccolo locale di Neukölln, a Berlino. Ancora non sapevo cosa aspettarmi dal suo live, sia perché si trattava di un esperimento – in duo con Tomomi Adachi – sia perché, per me, la sua musica era qualcosa di completamente nuovo. Rimasi folgorato dall’intreccio di suoni, rumori e vocalizzi, straniante e magico, cui diedero vita i due artisti.
Un’esperienza che mi fece entrare nel mondo, oscuro e complesso, della musica sperimentale, in cui ripiombai due settimane dopo, al Madame Claude di Kreuzberg. Stavolta, Bosetti si esibiva in solitaria, con un laptop, una tastiera ed un microfono: lo uno show fu ancora più coinvolgente, più ammaliante.
Alessandro Bosetti (© E. B.)
Confermata l’impressione iniziale, decisi di approfondire la conoscenza di questo interessante personaggio: italiano a Berlino da 12 anni, ma grande viaggiatore (per lavoro e per passione), Bosetti vanta collaborazioni con tantissimi artisti internazionali ed un curriculum musicale ricco e variegato. Nato sassofonista, negli anni ha solcato in lungo e in largo i mondo della musica sperimentale, dell’improvvisazione e del suono in generale, pubblicando diversi dischi.
Bosetti, inltre, collabora con la Westdeutscher Rundfunk, l’emittente pubblica tedesca, per progetti di arte radiofonica, l’ultimo dei quali lo ha condotto per circa un mese sulle Alpi, alla scoperta dei dialetti “dimenticati” della gente di montagna. Il suo oggi è rappresentato soprattutto da Trophies, trio comprendente anche il batterista Tony Buck ed il chitarrista Kenta Nagai. Ma, come detto, le strade percorse contemporaneamente da Bosetti sono davvero tante, e tutte molto differenti tra loro.
Iniziamo con una domanda secca: perché ti sei trasferito a Berlino?
Al tempo fu una scelta presa di pancia: la città mi affascinava già da tempo, ma la decisione l’ho presa da un giorno all’altro. Sono venuto a Berlino perché qui si era venuto a creare questo gruppo di musicisti, di musica sperimentale e minimalista, come Axel Dörner e Andrea Neumann, attorno al 2000. Negli anni ’90 ero venuto a Berlino tre volte, per brevi periodi, e in tutte le occasioni la città era cambiata molto rapidamente: c’era qualcosa che mi affascinava in questa città di confine, scura, ma estremamente intrigante. É una sensazione che mi è difficile rievocare adesso, è stata un po’ cancellata dal tempo.
Da dove nasce questa passione per il suono, e per il suono del linguaggio in particolare?
Difficile a dirsi. Ho sempre avuto una passione per la letteratura, e la mia testa ha sempre funzionato così. Poi, da musicista, ho sempre cercato di unire le due cose.