La prima economia del mondo può vivere senza manifattura? A questa domanda ha provato a rispondere sabato scorso Suzanne Berger presentando i primi risultati del programma di ricerca che il MIT di Boston ha lanciato su produzione industriale e innovazione (PIE). Il tema è di grande attualità negli Stati Uniti a causa delle difficoltà dell’economia americana nel riassorbire i posti di lavoro persi nel corso della crisi che ha segnato il paese dal 2007 al 2009. Proprio le difficoltà nel rilanciare l’occupazione hanno spinto un gruppo di ricerca storico (quello che ha contribuito, per intenderci, al famoso rapporto Made in America della fine degli anni ’80) a porsi una domanda che interessa moltissimo anche noi italiani: qual è il ruolo della manifattura in un’economia avanzata? Serve ancora produrre in un mondo globale?
Sono in molti negli Stati Uniti a sostenere il contrario (succede anche in Italia). Un’economia avanzata – dicono i fautori del terziario a oltranza – deve concentrarsi su attività a maggior valore aggiunto come la ricerca e sviluppo, il design, la distribuzione commerciale. Le grandi società che hanno segnato i successo dell’economia americana negli ultimi anni come Apple e Cisco hanno seguito questa strada. Perché tornare alla produzione?
Il problema, secondo Suzanne Berger, è legato ai risultati sociali che questa economia senza manifattura sta producendo negli Stati Uniti e non solo. La nuova geografia economica del paese mette in evidenza gli enormi squilibri che questo tipo di crescita genera a livello territoriale e sociale. L’America di oggi si divide fra hot spot (la Silicon Valley, Boston, Durham-Raleigh, Austin) e buchi neri (Detroit, per fare un esempio) senza granché di interessante in mezzo. Se vivi in un hot spot rischi di guadagnare piuttosto bene anche facendo la baby sitter; nei buchi neri è dura sbarcare il lunario anche con un diploma di ingegnere. L’innovazione che fa a meno della manifattura non produce più classe media, la spina dorsale della democrazia americana.
Rimane da capire che tipo di industria può rimanere competitiva in un paese come gli Stati Uniti. Per rispondere a questo interrogativo, il MIT ha deciso di guardare da vicino la realtà. Ha deciso di intervistare centinaia di imprese che ancora producono negli Stati Uniti e che hanno dimostrato di saper competere a scala globale. Che cosa emerge da queste prime interviste? Che negli Stati Uniti esiste un gruppo consistente di medie imprese che hanno saputo innovare e conquistare spazi di mercato secondo traiettorie poco note, ma non per questo meno efficaci.
Un caso citato dalla Berger è quello della Marlin Steel, un’azienda che produceva contenitori in filo di acciaio per friggitrici e che, sotto la pressione della concorrenza cinese, ha saputo fare un salto di qualità rinnovando il proprio prodotto per commercializzarlo in settori hign tech, garantendo un’offerta su misura in tempi brevi. Queste medie imprese devono molta della loro capacità competitiva a una forza lavoro ancorata a uno specifico territorio. Una delocalizzazione della produzione rischierebbe di compromettere capacità di innovazione e tempi di risposta al mercato.
Qual è il problema della Marlin Steel e di tante altre medie imprese americane (che molto assomigliano alle nostre)? Che per crescere hanno bisogno di poter contare su ecosistemi dell’innovazione che a oggi negli Stati Uniti stentano a prendere piede. Mancano politiche di formazione adeguate, mancano piccole imprese che possano rappresentare fornitori credibili per questi nuovi leader industriali, mancano banche e istituzioni finanziarie interessate a spingere questa nuova economia manifatturiera. Una nuova politica industriale (vero e proprio tabù per la cultura politica americana) passa attraverso la costruzione di questi ecosistemi lavorando su formazione, finanza e politiche del lavoro.
La posta in gioco, secondo i ricercatori del MIT, non si misura semplicemente in termini di PIL. E’ un pezzo importante dell’american dream.
Link:
http://mit.edu/pie/about/index.html
http://mitpress.mit.edu/catalog/item/default.asp?tid=7325&ttype=2