AvantcraftInsegnare l’innovazione significa dire ai giovani di sporcarsi le mani

Alcuni giorni fa un lungo articolo di Dale Dougherty sul sito Slate ha rilanciato il tema della formazione scientifica negli Stati Uniti. Editore della rivista Make e promotore delle ormai celebri ...

Alcuni giorni fa un lungo articolo di Dale Dougherty sul sito Slate ha rilanciato il tema della formazione scientifica negli Stati Uniti. Editore della rivista Make e promotore delle ormai celebri Maker Faire, Dougherty ha le idee chiare su come mettere in pista una nuova leva di ingegneri e scienziati: meno test e più laboratori creativi, meno crocette e più sperimentazioni “hands on”.

Secondo Dougherty i test somministrati a scala nazionale negli Stati Uniti producono alcuni importanti effetti indesiderati. Il principale è quello di non indirizzare i giovani verso il senso ultimo di quello che stanno studiando. I ragazzi americani tendono a confrontarsi con i test un po’ come molti di noi hanno studiato i quiz per la patente: ci si dimentica che bisogna a imparare a guidare e ci si concentra su come azzeccare le risposte. A forza di imparare a memoria tutti i componenti di un microscopio – dice Dougherty – viene meno la voglia di usarlo.

Se l’economia americana punta a promuovere nuovi talenti nel campo dell’ingegneria e delle scienze applicate è necessario mettere i giovani al lavoro. Altro che test standardizzati; in classe bisogna costruire razzi e robot! La scuola deve diventare un momento di confronto con la realtà, uno spazio per creare e innovare. I giovani devono cimentarsi con sfide vere, come accade nelle tante fiere dei Maker dove chi partecipa ai laboratori accetta la scommessa di produrre innovazione usando le mani oltre che il cervello.

I test Star di cui parla Dougherty, non sono poi così diversi dai test che abbiamo iniziato ad adottare anche in Italia. Sono in molti a pensare che senza questo tipo di strumenti standardizzati non sia possibile valutare la qualità dell’insegnamento e misurare nel tempo il contributo degli insegnanti alla formazione dei giovani. C’è del vero in queste osservazioni. Il punto di Dougherty tuttavia è un altro e merita di essere considerato con attenzione anche dalle nostre parti. Senza un rapporto con il fare gli studenti non riescono a mettere in moto entusiasmo e passione; rimangono lontani dalla realtà col rischio di esserne intimoriti.

Gli ingegneri e gli scienziati di domani (ma non solo loro) devono diventare parte attiva del processo formativo in cui sono inseriti, senza limitarsi a rimanere “consumatori” di informazioni, come spesso invece accade. Questo nuovo atteggiamento verso il sapere è cruciale se si intende davvero “promuovere quella creatività e quel pensiero critico che apprezziamo in persone come Steve Jobs”.

In Italia paghiamo un prezzo molto elevato per questa mancanza di confronto con la pratica. Le statistiche ufficiali parlano di pochi laureati, almeno per quanto riguarda il confronto fra Italia e altri paesi europei, e di laureati che non trovano un giusto riconoscimento nel mondo delle imprese. Una possibile spiegazione a questi due problemi va cercata nella qualità dell’insegnamento offerto ai giovani. Senza un’abitudine al fare non si genera né entusiasmo né passione, in primis nelle discipline scientifiche, e si contribuisce ad allargare la distanza con il mondo delle imprese, in particolare quelle industriali.

Si dirà: come fare a finanziare una nuova stagione di laboratori e di pratica dell’innovazione? Non si tratta di riforme a costo zero, questo è certo. Ma è anche vero che, ingaggiate su questo terreno, molte imprese sarebbero disposte a mettere a disposizione personale, macchinari e materiali per sperimentazioni innovative. E proprio la capacità di coinvolgimento delle imprese potrebbe rappresentare, almeno in un pezzo importante del paese, un parametro importante di valutazione di una nuova didattica.

Vogliamo risalire la china delle grandi nazioni industrializzate? Iniziamo a prendere sul serio il messaggio che viene dai maker americani. Nelle scuole e nelle università italiane investiamo su una formazione che non tema la pratica e scommetta sulla sperimentazione.

http://www.slate.com/articles/technology/future_tense/2012/06/maker_faire_and_science_education_american_kids_should_be_building_rockets_and_robots_not_taking_standardized_tests_.html

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