Blow-UpLa fotografia italiana raccontata da Italo Zannier

Un bel libro è quello che ci da rifugio. Quello che ci permette di sostare, foss'anche per poco, al riparo dalle noie, dalle ovvietà del mondo di fuori. Infatti è difficile abituarsi troppo a un be...

Un bel libro è quello che ci da rifugio. Quello che ci permette di sostare, foss’anche per poco, al riparo dalle noie, dalle ovvietà del mondo di fuori. Infatti è difficile abituarsi troppo a un bel libro, perché è sempre imprevedibile, inesauribile, è sempre un continente da esplorare, scoprire e riscoprire.
Ciò non vale solo per la narrativa. Di recente mi è capitato di leggere un bel saggio di storia.

Non lasciatevi ingannare dal titolo dotto e professorale, lo stile della prosa è ben altro: piano, omogeneo, diretto, con un vivace tono colloquiale che però non scade nella retorica delle confidenze molto alla moda negli ultimi anni. La Storia della fotografia italiana – dalle origini agli anni ’50, l’ultima fatica editoriale di Italo Zannier, non è infatti, come ricorda Roberto Maggiori nell’introduzione, l’ennesimo studio per specialisti eruditi, ma un autentico libro di storia, “pura e semplice”, una collezione letteralmente sterminata di fatti ben documentati che non hanno bisogno di interpretazioni sofisticate, che sono accessibili a tutti.

Torniamo ora alla metafora iniziale. Ebbene, “La storia” di Zannier non è affatto una piccola dimora, somiglia piuttosto a un grande palazzo pieno di ingressi, porte, scale, sottoscale, corridoi, stanze, finestre, appartamenti; decine, forse centinaia – si perde subito il conto – di oggetti da vedere, di spazi da esplorare. Muoversi all’interno di questa costruzione così variegata, in mezzo a una tale moltitudine di racconti e personaggi, resta un’esperienza unica, un’occasione di conoscenza imperdibile.

Il passo dell’autore è rapido e leggero, il ritmo costante. Zannier non perde mai tempo a decantare gli sfarzi dell’arredamento, gli emblemi e i trofei: i protagonisti, le vicende altisonanti, i capolavori della fotografia italiana; ma in genere preferisce cimentarsi nell’inventario degli accessori minimi, dei particolari irrilevanti, quelli che solleticano magari il gusto dell’amatore disimpegnato, o le manie feticistiche dell’uomo di scienza. La sua “storia” corona le gesta degli eroi osannati dai manuali con le piccole e medie imprese dei dilettanti, con le follie degli sperimentatori, le paturnie dei turisti, nonché i vizi e i piaceri delle folle anonime le cui memorie sarebbero rimaste sommerse nelle cronache di provincia o nelle anagrafi parrocchiali. A Zannier, di questo campionario di varia umanità, non sfugge nulla. Come un segugio ben addestrato batte qualsiasi pista in lungo e largo lo stivale, trasformando la traccia più labile in prova decisiva.

Dimenticatevi allora le prodezze solitarie dei pochi e lasciatevi intrattenere dalle pratiche diversificate e diffuse delle masse.
Sono proprio gli usi sociali del mezzo a costituire, come sottolinea nella prefazione Michele Smargiassi, le molecole identitarie della nostra storia nazionale. La cultura fotografica del nostro paese non è spiegabile fuori da questo caleidoscopio di atelier, città, regioni, tradizioni parcellizzate che da sud a nord s’intrecciano senza soluzioni di continuità. Se i grandi paesi industrializzati dell’occidente moderno avevano trovato nella visione fotografica un paradigma unificante, un sistema organico, una lingua liturgica, “veicolare”, come era stato definito il latino medioevale, nella tarda modernità italiana tale prospettiva risultava del tutto impraticabile, pena la perdita drammatica di un patrimonio inestimabile. Zannier ne comprende benissimo il valore e ne descrive, con l’abilità del collezionista e del bricoleur, gli idiomi “vernacolari”, le eccellenze folcloristiche.

Credo anch’io, a dir il vero, che la sua avventura nei decenni novecenteschi, sposi, forse in maniera troppo frettolosa e ossequiosa, il paradigma del modernismo storiografico, imitando le scansioni cronologiche, le classificazioni per genere, i modelli teorici ed estetici delle scuole anglosassoni.
Tuttavia, a conti fatti, il decano degli studiosi nostrani ha dato così tanto alle glorie patrie sia nel campo della divulgazione con le sue decine di libri, sia in quello della formazione con i suoi quasi cinquant’anni di insegnamento che questo, diciamo, orgoglio utopista gli si può pure perdonare. Certo il problema si pone visto che l’epoca recente invoca nuovi narratori e nuove narrazioni e che la dimensione onnipervasiva e trasversale della cultura fotografica pretende le doti e le attitudini di un connoisseur d’eccezione come sapeva essere Italo Zannier. Se qualcuno è pronto, si faccia subito avanti. La storia scalpita.

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