A tutto TondiLa questione dei fuori corso: di chi è la colpa?

Pare che siano quasi 600.000, in Italia, gli studenti che non si laureano in tempo. La dimensione del fenomeno esige un intervento immediato, e sembra che un provvedimento al riguardo sia stato ins...

Pare che siano quasi 600.000, in Italia, gli studenti che non si laureano in tempo. La dimensione del fenomeno esige un intervento immediato, e sembra che un provvedimento al riguardo sia stato inserito nel decreto sulla spending review: l’aumento delle tasse per tutti i fuori corso.

La ratio della disposizione è modificare gli incentivi con cui hanno a che fare gli studenti in modo da rendere economicamente meno conveniente allungare il periodo di studio.

Però c’è un però. Se da una parte l’origine del problema va fatta risalire ad un atteggiamento “fancazzista” di alcuni studenti (quelli che le tasse le possono pagare senza problemi, perché sono di famiglia benestante, ma se la prendono comoda tanto pagano “poco”), molte persone si trovano in una situazione ben diversa: non hanno le disponibilità economiche dei loro colleghi più fortunati, studiano molto di più e contemporaneamente lavorano per potersi mantenere.

Adesso fermiamoci un attimo e pensiamoci: quali agevolazioni offre il sistema universitario italiano agli studenti meno abbienti? Quante borse di studio mette a disposizione degli studenti meritevoli ma a basso reddito? Lo Stato aiuta gli studenti fuori sede con stanze in affitto calmierato o misure di sostegno al reddito? Come sono strutturati gli appelli nelle nostre università? Con che professori abbiamo a che fare? Sono persone competenti, obbiettive e disponibili o spesso sono baroni della peggior specie, vere e proprie sanguisughe, attaccate alla poltrona come se ne fossero biologicamente dipendenti?

Se abbiamo la pazienza di cercare delle risposte a queste domande, scopriamo che gli studenti italiani sono costretti a districarsi in un sistema che semplicemente NON funziona. Programmi poco chiari, pochi professori, una struttura delle rette al netto dei sussidi (formali o informali) che è a dir poco regressiva. Un posto perfetto in cui parcheggiare i figli di papà, ma un inferno per chi viene dai ceti popolari. Tutto questo considerando soltanto l’università in senso stretto. Ma non basta.

Ad esempio, uno studente in facoltà segue le lezioni e spesso a casa non può stare sui libri (perché ha un fratello piccolo, perché ha parenti malati, per mille altri motivi). Nei paesi civili hanno inventato dei posti chiamati “biblioteche”: luoghi dove regna il silenzio assoluto e dove ci si può recare con i propri libri per studiare in tranquillità. Nelle grandi città (perlomeno a Milano) ce ne sono poche, sono sempre iper-affollate e hanno orari da Poste Italiane: chiudono alle 6 del pomeriggio quando dovrebbero rimanere aperte almeno fino alle 22. Ed immagino che a Milano il servizio sia tutto sommato migliore rispetto a quello disponibile in altre località.

Che fare, dunque? A mio avviso le tasse universitarie dei fuori corso si possono e si devono aumentare, ma solo se l’aumento delle tasse è accompagnato da un piano di riorganizzazione ed efficientamento delle università da un lato e dalla predisposizione di corpose agevolazioni allo studio dall’altro. Il principio guida deve essere il seguente: lo Stato paga gli studi agli studenti eccellenti, per gli altri vige il classico sistema a fasce reddituali, se vai fuori corso le tasse schizzano alle stelle.

Soltanto così possiamo coniugare meritocrazia e pari opportunità: l’alternativa e lasciare in vita questo sistema medievale e classista.

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