Senza entrare nel merito e nei dettagli dei tagli di bilancio, il presidente del Veneto Luca Zaia ha annunciato il ricorso alla Corte Costituzionale contro la spending review proposta dal governo Monti. Con tale annuncio, il presidente veneto si è accodato alle centinaia di corporazioni che in questi mesi ostentano una potentissima resistenza conservatrice alle riforme di cui l’Italia ha urgente e indifferibile necessità. Poiché i veneti, ad esclusione di Zaia e pochi altri, non vivono di annunci e nemmeno di inutili ricorsi costituzionali, restiamo convinti che molti settori pubblici e istituzionali della nostra regione abbiano bisogno di riorganizzazione e tagli. Prima di tutto, però, il Veneto ha urgente necessità di superare l’anacronistica contrapposizione con il resto del Paese.
Il Veneto non deve lasciarsi intrappolare per l’ennesima volta nella logica dell’uno contro tutti. Se non governerà il principale processo di cambiamento in atto dal secondo dopoguerra a oggi, la spending review per l’appunto, finirà per subirlo. Permettendo che centri decisionali esogeni facciano le riforme che la Regione dovrebbe fare, il Veneto si ritroverà alla fine di questo processo incattivito, politicamente irrilevante e ancora più diviso e frammentato di quanto non sia già.
L’atteggiamento del presidente della Regione è populista e conservatore, come spesso avvenuto in questi due anni di mandato. E’ populista perché se è vero che ci sono regioni che utilizzano peggio del Veneto le risorse pubbliche, non è una buona argomentazione perché in Veneto si continui a sperperare denaro pubblico ed evitare di mettere mano alle inefficienze. Noi produciamo, gli altri sprecano: “Io sono l’Abele della situazione”, ha detto Zaia a Radio 24, gli altri sono “Caino”, senza capire che il punto di riferimento per una regione come il Veneto non è la Sicilia, ma semmai l’Austria o la Baviera. E’ un atteggiamento profondamente conservatore, perché non guarda la situazione reale che, come sempre, è diversificata e male si presta a essere semplificata in una frase o, peggio, in un titolo di giornale. E’ tempo di metterci tutti nell’ordine di idee che il sistema attuale, così come è disegnato non può essere mantenuto. Neppure in Veneto.
A Zaia da tempo indichiamo una strada per ridefinire settori strategici e avviare percorsi di progressivo dimagrimento della Regione. A cominciare dalla sanità, di gran lunga il settore che maggiormente impegna il bilancio pubblico drenando il 70% delle risorse regionali. Il Veneto conta attualmente 1 agenzia regionale sanitaria, 1 Istituto di ricerca (Iov), 2 aziende ospedaliere, 21 Ulss e oltre 100 tra ospedali, cliniche e centri di riabilitazione. Un sistema così polverizzato, ciascuno con i suoi centri di spesa, i suoi apparati dirigenti e le sue burocrazie genera inefficienze e sprechi. Non è un caso se ci sono Ulss la cui spesa pro capite si aggira sui 1.600 euro l’anno e altre dove invece curarsi costa 2.500 euro a cittadino. Come si capisce facilmente, lo spazio per una riforma della spesa è molto ampio. Probabilmente è sufficiente una sola azienda ospedaliera comprensiva delle due università di Padova e Verona e dell’Istituto di ricerca, 7 Ulss – una per territorio – e poco più della metà delle strutture ospedaliere esistenti.
Sacche enormi di inefficienza, sovrapposizioni e appesantimento burocratico si celano anche nel complesso sistema delle partecipazioni. Il Veneto controlla o partecipa in oltre 120 tra enti, organismi e società. Verso Nord di recente ha proposto una robusta cura dimagrante con l’abrogazione di 39 fra enti e organismi non indispensabili e la cessione delle quote detenute dalla Regione in 24 società esterne.
Altro capitolo dolente riguarda il trasporto pubblico locale. Il sistema tocca incredibili livelli di inefficienza dovuti essenzialmente alle linee sussidiate con fondi pubblici disegnate per una regione che non c’è più, il Veneto di trent’anni fa, ancora radiocentrico nei confronti dei capoluoghi. Quel sistema oggi risulta del tutto inadeguato alle esigenze di mobilità della popolazione, perché ha poca attenzione all’intermodalità e perché è totalmente indifferente alle aggregazioni urbane nel frattempo addensatesi attorno ai poli di Padova, Mestre e Treviso da un lato e di Verona e Vicenza dall’altro. L’utenza è ritagliata sugli studenti e sugli immigrati senza nessuna spinta a conquistare nuovi segmenti di clientela, anche in virtù di una ritrovata convenienza all’uso del trasporto pubblico indotta dalla crisi economica. La frammentazione dei soggetti affidanti (34), le procedure di affidamento in house, senza concorrenza, e la frammentazione dei gestori (41 tra pubblici e privati o consorziati), hanno inevitabili riflessi negativi sugli orari e sulle tariffe. Un progetto di legge di Verso Nord prevede la totale riforma del settore, con la costituzione di grandi bacini d’ambito e l’indizione di gare europee per l’affidamento del servizio. In questo modo rimarrebbero, 2, massimo 3 grandi vettori e si potrebbe finalmente pensare a quel biglietto unico per viaggiare all’interno della Regione che tutti, studenti, lavoratori e turisti, chiedono da anni.
C’è infine il nodo dell’attuale assetto istituzionale. Se guardiamo a cosa dovrà essere la Regione nel futuro, ha ancora senso la suddivisione in 7 province, 581 Comuni e 19 Comunità montane? Ovviamente no. Le Province e le Comunità montane possono essere abrogate senza provocare alcuno squilibrio, mentre i Comuni devono essere accorpati per arrivare a enti di almeno 20 mila abitanti. Senza dimenticare che la città metropolitana, cioè quell’area che comprende Padova, Venezia e Treviso, oggi è già una realtà. E’ necessario pensare a un livello unico di governo per questo territorio che rimane tra i più dinamici del Paese.
Questa è la “spending review” veneta che Zaia dovrebbe avere il coraggio di contrapporre a quella lineare di Monti. Queste le proposte con cui negoziare un ruolo da protagonista del Veneto, perché capace di raggiungere prima e meglio di altri gli obiettivi di risparmio ed efficienza posti dal governo evitando in tutti i modi di scavare trincee e fortificare bastioni a difesa dello status quo e delle connesse rendite di posizione.
Con tale impostazione coraggiosa il presidente veneto acquisterebbe l’autorevolezza e la forza per chiedere al governo di avere altrettanto coraggio e varare una riforma costituzionale per ridurre a non più di 10 o 12 le attuali regioni, abolire gli statuti speciali con i loro anacronistici e costosi privilegi e costituire la nuova regione delle Venezie, da Trieste a Verona, passando per Trento e Bolzano.
Signor Rossi