DischauntNever fell in love – Vent’anni di Rancid raccontati in un post

Premessa. Il 2012 celebra un anniversario: vent'anni fa i Rancid registrarono il loro primo Ep ed esordirono su un palco a Berkeley, in California. Quest'anno Tim Armstrong e compagni torneranno a...

Premessa.
Il 2012 celebra un anniversario: vent’anni fa i Rancid registrarono il loro primo Ep ed esordirono su un palco a Berkeley, in California. Quest’anno Tim Armstrong e compagni torneranno a suonare in Italia, per la prima volta dopo otto anni di assenza (e per la quarta volta nella loro storia): la location che ospiterà l’evento sarà il Rock in IdRho, festival organizzato da Hub Music Factory all’Arena Concerti della Fiera di Rho, vicino a Milano. Tra i partecipanti, oltre alla band californiana, ci saranno The Specials, Millencolin, PIL e tanti altri ancora. Per festeggiare questa ricorrenza, ecco una biografia – stringata, ma non troppo – della band che ha scritto la storia del punk rock degli anni ’90 e 2000.

1992 – 1994. Dagli inizi a Let’s Go

“Chi l’avrebbe mai detto che i sogni si realizzano?

Who would’ve thought, 1998

924, Gilman Street. 2 agosto 1992. Tutto ha inizio in un giorno e in un luogo preciso. Il Gilman assomiglia più ad un supermarket che a un live club: all’esterno, addossati al muro in mattoni rossi, ci sono un centinaio di ragazzi, qualche cresta e magliette stracciate. Stasera chi suona? Chiede uno di loro. “Tim e Matt. Pare che abbiano una nuova band”, risponde un altro. Dentro l’aria è asfittica, le pareti completamente coperte di scritte. Sul piccolo palco del “CBGB’s della West Coast” saliranno, di lì a poco, i Rancid. I ragazzi del Gilman lì conoscono già: c’è Lint, quello con gli occhi azzurri e spiritati e l’altro, con i tatuaggi e i baffi. Suonavano insieme negli Operation Ivy, band che al Gilman si ricordano bene: nei due anni di incendiaria attività live, il locale divenne la loro seconda casa. E la gente di Berkeley è cresciuta con “Bombshell“, “Knowledge” e “Unity” nelle orecchie.

A quasi due anni dallo scioglimento degli Op Ivy, Tim Armstrong e Matt Freeman ci riprovano. È la quarta band che formano in pochi mesi: Armstrong ha ventisei anni e problemi con l’alcol e la droga e Freeman, preoccupato per la salute dell’amico – i due si conoscono da quando hanno cinque anni , giocavano insieme in cortile – cerca di distrarlo con la musica. A loro si aggiunge Brett Reed, un batterista alle prime armi con cui Armstrong, a quel tempo, divideva il suo appartamento. Nascono così i Rancid.

L’Ep d’esordio, pubblicato per la stessa etichetta che fu degli Operation Ivy, la Lookout! Records, ha una molotov in copertina e, all’interno, un pugno di tracce di streetpunk incendiario. Mentre i brani cominciano a girare, la band si fa conoscere nella zona di Berkeley grazie a sette leggendari concerti tenuti al Gilman in pochi mesi. Intanto, Tim e Matt, che stanno lavorando alla registrazione del primo full lenght, si mettono alla ricerca di un secondo chitarrista. Tim vorrebbe scritturare Billie Joe Armstrong, frontman di un giovane e promettente trio chiamato Green Day, con già due dischi all’attivo di cui uno, Kerplunk, pubblicato da pochi mesi. Il ragazzo di Rodeo però rifiuta: non vuole mollare la sua creatura. É così la strada dei Rancid si incrocia con quella di Lars Frederiksen.

Nato Lars Everett Dapello a Campbell, Frederiksen venne cresciuto dalla madre, un’immigrata danese, poiché il padre John, figlio di italiani, abbandonò la famiglia quando lui aveva quattro anni. Lars era un bad guy: leader di una gang giovanile di Los Angeles, gli Skunx, aveva diciassette anni quando abbandonò la Westmont High School e iniziò a suonare la chitarra negli Uk Subs. Dopo un primo, istintivo rifiuto, Lars decide di accettare la proposta della band. La sua biografia tormentata, sempre al limite della delinquenza, non risulta un problema per i nuovi compagni di viaggio, anzi: anche per questo motivo, probabilmente, l’alchimia con Tim, Matt e Brett è da subito quella giusta.

Voglio andare là dove si combatte
voglio volare attraverso il degrado urbano
voglio vivere come un’ombra nel buio
e muovermi soltanto di notte.

“Adina” (Tim Armstrong, Matt Freeman)

Così si apre Adina, prima traccia del primo disco dei Rancid, datato maggio 1993. L’etichetta stavolta è la Epitaph, fondata dal chitarrista dei Bad Religion Brett Gurewitz nel 1980. Sotto Epitaph la band registrerà anche i successivi tre dischi, Let’s Go, …And Out Come The Wolves e Life Won’t Wait, tutti prodotti dallo stesso Gurewitz. Lars non figura ancora tra i componenti, essendo entrato nella band soltanto a registrazioni ultimate. Il suo nome, comunque, viene citato tra i crediti del disco, insieme a Donnell Cameron, proprietario del leggendario studio Westbeach Recordings di Hollywood e Jeff Abarta, il primo impiegato full-time della Epitaph, amico di Tim ed autore dei cori nei brani del disco.

Epitaph, dicevamo. Qualcosa si sta muovendo all’interno della scena punk rock californiana ed è l’etichetta losangelina a captare per prima questo nuovo vento. Nascono nuove band, figlie, più che del punk ’77, della lezione impartita negli anni ’80 da Queers, Vandals, Descendents e Screeching Weasel. Stiamo parlando di Green Day e Offspring che, insieme ai Rancid, costituiranno il fulcro della ondata di revival punk di metà anni ’90. A differenza di queste due band, però, Tim e compagni non cedono alle tentazioni delle etichette major, ansiose di scritturare un potenziale fenomeno commerciale santificato dal successo di “Salvation”, il cui video finisce in heavy rotation su Mtv Us. Nel frattempo, Billie Joe e Tim Armstrong (che no, non sono parenti) co-firmano “Radio”, che diventerà una delle canzoni più conosciute nell’intera carriera della band.

Non mi sono mai innamorato prima di innamorarmi di te
Non sapevo cosa significasse divertimento, prima di divertirmi con te
Se vuoi stare bene e farlo nel modo giusto, allora alza la musica a tutto volume
Perché quando la musica colpisce, non sento più alcun dolore.

“Radio” (Tim Armstrong, Billie Joe Armstrong, Matt Freeman)

Let’s Go (1994) è il disco che consacra i Rancid a livello internazionale. L’album contiene la bellezza di 23 canzoni in 44 minuti, alcune delle quali meravigliose – su tutte “The Ballad of Jimmy & Johnny”, “Nihilism” e “Tenderloin” – e vende tantissimo, ottenendo addirittura il Disco d’oro. Il successo, tuttavia, non cambia la mentalità dei ragazzi di Berkeley. Infatti, mentre i Green Day sfornano dischi per Reprise Records, controllata dalla Warner e gli Offspring firmano con la Columbia dopo il successo di Smash, i Rancid rimangono fedeli a loro stessi, continuando il loro percorso nelle etichette indipendenti. Anche quando la label di Madonna, la Maverick Records, viene a bussare con insistenza alla loro porta, Tim e compagni dicono di no. Come si dice in California, they stayed true.

1995 – 2000. Il successo e la duplice svolta

[…] Ho guardato fuori, verso il grande campo
Il grande campo, che si spalanca come la copertina di una vecchia bibbia
Ed escono i lupi
Escono i lupi
Le loro zampe calpestano la neve, l’alfabeto
io cerco di comprendere e li guardo andare via.

Jim Carroll, Poem (citata in “Junkie Man”)

La maturazione dei quattro prosegue con il disco successivo, …And out come the wolves, dove ai suoni taglienti del punk si mescolano molta melodia e roots presi in prestito dalla tradizione ska giamaicana, una delle passioni musicali di Armstrong. Registrato a metà tra California e New York City, negli Electric Lady Studios fondati da Jimi Hendrix, il disco cita nel titolo un componimento di JIm Carroll, il “poeta del punk” morto nel 2009, inserito anche nel testo di “Junkie Man”, che fa riferimento ai “predatori del business” piombati sulla band dopo il successo di Let’s Go. É il 1995, e i Rancid raggiungono lo zenit creativo della prima parte della loro carriera: la tracklist di “…And out” è killer e contiene tutte le canzoni più famose della band californiana.

Oltre a tre singoli leggendari, “Roots Radicals”, “Ruby Soho” e soprattutto “Time Bomb”, l’album contiene anche numerose perle, come le splendide “Olympia Wa.”, “Journey to the End of the East Bay” , “Maxwell Murder” (dove Matt Freeman firma un vero e proprio “manifesto” valido per ogni bassista, non solo di estrazione punk) e la sottostimata “Avenues & Alleyways”. “…And out come the wolves” è un vero e proprio boom in termini di vendite. Certificato Disco d’oro nel 1996, l’album continua ad avere successo anche negli anni successivi, raggiungendo il Disco di platino nel 2004. Negli Usa, il disco, oltre ad essere una delle pietre miliari del punk anni ’90, rappresenta uno dei punti di popolarità più alti mai raggiunto da un disco prodotto da un’etichetta indipendente.

Sto cercando solo un modo per fare breccia in questi muri
Sto cercando solo un luogo che posso chiamare “casa”
C’è qualcuno la fuori con un’anima?
Sto solo cercando una ragazza, la ragazza con il cuore d’oro

“Corazon de oro” (Tim Armstrong)

A questo punto, i Rancid fanno quello che nessun’altra band, probabilmente, avrebbe fatto. E cioè, cambiano il loro sound, aprendolo a contaminazione di nuovi generi musicali – non solo ska e reggae, ma anche rockabilly, dub, hip hop e funk. Dopo due anni di tour praticamente senza soste, la svolta prende forma in “Life won’t wait”, quarto lp della band, pubblicato nel 1998. Registrato tra gli Stati Uniti e la Giamaica, l’album è il Sandinista! dei Rancid, con riferimento al disco dei Clash che riunisce numerose influenze stilistiche diverse. A testimonianza di ciò, la presenza di grandi guest star: Vic Ruggiero (che era apparso anche nel disco precedente), la leggenda dancehall Buju Banton, Dicky Barrett dei Mighty Mighty Bosstone, Roger Miret degli Agnostic Front.

“Questa è la nuova faccia del rock’n’roll!”, si sente all’inizio di Hooligans, l’ottava traccia. É forse il disco più politicizzato dei Rancid: si parla di guerra, di nuovi ordini mondiali, di rivoluzione, ci sono riferimenti a Bakunin e alle società segrete. Con Life Won’t Wait, disco in parte più “leggero” dei precedenti, alcuni dei fan storici storcono il naso, temendo una svolta mainstream della band, mentre molti nuovi sostenitori si avvicinano alla band, attratti dal tocco in levare delle canzoni. Eppure non mancano brani più agguerriti, come “Warsaw”, “Bloodclot”, “Leicester Square” e “Something in the World Today”. Life won’t wait è l’ultimo album della band per la Epitaph: un anno prima, infatti, Armstrong aveva lanciato – in collaborazione proprio con Brett Gurewitz – una propria etichetta, la Hellcat Records. E proprio per Hellcat Records usciranno tutti i successivi album dei Rancid.

Non solo Life Won’t Wait: il ’97 fu un anno importante per Armstrong anche dal punto di vista emotivo. É in quel periodo, infatti, che il front-man dei Rancid sposa Brody Dalle, giovanissima cantante e chitarrista australiana. I due si erano conosciuti nella notte tra il 31 dicembre 1995 ed il primo gennaio 1996, quando lei aveva solo 16 anni. La band di Brody, i Sourpuss, suonava allo stesso festival dei Rancid, il Somersault. L’amore scoccò subito e nel 1997, quando compì 18 anni, la cantante si trasferì a Los Angeles, dove iniziò a convivere con Armstrong e fondò i Distillers, band che condusse fino allo scioglimento, avvenuto nel 2004.

Ammissione di passività
Sto vivendo la mia guerra fredda personale
In una stanza piena di spie non riesco a trovare l’uscita
Alcune persone sono veleno
Sotto la mia pelle come oppio

“Poison” (Tim Armstrong)

I Rancid, intanto, cominciano a lavorare al nuovo disco, un disco che ancora una volta segna una rottura netta con il passato recente. Quando viene pubblicato, infatti, “Rancid” (conosciuto anche come Rancid 2000 per differenziarlo con il primo disco della band, anch’esso omonimo) lascia tutti di stucco: i ragazzi di Berkeley sono ritornati indietro di sette anni, rispolverando tutta la propria ferocia hardcore in un album fatto di ventidue canzoni in trentotto minuti, la maggior parte delle quali di durata inferiore ai due minuti. I ritmi ska e reggae di “Life Won’t Wait” svaniscono sotto i colpi violenti dei riff di Frederiksen e del rullante di Reed. Non mancano episodi più orecchiabili, come “Let me go”, “Radio Havana” e “Rwanda”, ma la vera anima nel disco si assapora in schegge punk come “Disgruntled”, “Axiom”, “Young Al Capone” e della bellissima “Poison”.

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Il disco, come prevedibile, non bissa il successo commerciale dei predecessori – ma fa riavvicinare alla band molti dei fan storici, soddisfatti dal ritorno a suoni duri di Tim e compagni. Dopo un anno di tour intensissimo, e dopo una pausa durata dodici mesi in cui lavorano a progetti paralleli (Transplants, Lars Frederiksen and the Bastards e Devil’s Brigade), i Rancid si rimettono al lavoro: nel marzo del 2002 esce uno split con i NOFX, in cui le due band realizzano una cover dell’altra. Un divertissement, che però riscuote un deciso interesse ed è un esperimento di indubbio valore, proprio perché mette di fronte due delle principali realtà del punk rock californiano. Intanto iniziano i lavori in vista del sesto full lenght della band; in un periodo segnato da una profonda crisi per Armstrong, conseguenza della brusca rottura con Brody Dalle, il gruppo comincia a scrivere quello che, a tutti gli effetti, sarà il disco più intimo e personale di tutta la carriera: Indestructible.

2003 – giorni nostri. La catarsi, la crisi, l’evoluzione

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Non preoccuparti per me, ce la farò
Ho eliminato i nemici dalla mia vita
Ho preso una situazione negativa e l’ho sistemata
in mezzo alle ombre dell’oscurità, sto nella luce

vedi, essere onesti è il nostro stile
ho avuto un anno difficile, sono passato in mezzo ad un sacco di casini
mi hanno tramortito, picchiato, riempito di lividi
ma lei non tornerà indietro per te
lei non tornerà indietro per te

Se cado giù, tu mi aiuterai a rialzarmi
Se cado già, tu sarai mio amico

Fall Back Down (Tim Armstrong)

Primo album dei Rancid distribuito da una major, la Warner Bros (ma prodotto ancora da Hellcat), Indestructible segna un prepotente ritorno della melodia nella musica dei ragazzi di Berkeley. Un taglio “pop” che vale all’album sia un ottimo successo commerciale, sia una serie di recensioni positive sulla stampa di settore. Trainato dal singolo “Fall back down”, il disco conferma l’intesa perfetta tra Frederiksen e Armstrong, co-autori di tutti i brani. Nonostante le premesse, i contenuti del disco sono tutt’altro che tristi: si parla di riscatto, di amicizia, di una nuova vita che sta per iniziare. Non mancano i sing-along, soprattutto in “Born frustrated”, “Start Now” e “Red Hot Moon” e le influenze reggae, presenti in “Memphis” e “Tropical London”.

Settembre 2003, Bologna. I Rancid suonano in Italia per l’ultima volta in un decennio. Il palcoscenico prescelto è quello dell’Indipendent Days Festival, dove un anno prima avevano suonato anche i NOFX. Due amici raccontano questo episodio: “Giravamo per Bologna, poche ore prima dell’inizio del festival. Ad un certo punto, vediamo all’angolo di una strada Tim Armstrong, che sembra completamente perso in mezzo alla città. Allora ci fermiamo, lo chiamiamo e gli chiediamo se gli serva una mano: è uscito a farsi un giro e non si ricorda come tornare al festival. Lo facciamo salire dietro e infiliamo nel lettore cd …And Out Come The Wolves. Tim si mette a cantare: siamo increduli. Una volta tornati al festival ringrazia, saluta, e ci regala i suoi polsini”.

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Dopo la “catarsi” di Indestructible, i Rancid si fermano per un po’. Da un lato è una scelta di pancia, presa dopo un tour estenuante sia fisicamente sia emotivamente, dall’altro è una decisione che cela la voglia di seguire strade diverse. Tim Armstrong ritorna a dar vita ai Transplants, che pubblicano il secondo disco, “Haunted Cities”. Lars Frederiksen rimette insieme i Bastards e registra un nuovo disco, “Viking”. Freeman, invece, entrato provvisoriamente nei Social Distortion di Mike Ness, comincia la sua lotta contro un cancro ai polmoni, diagnosticatogli nel 2005. Brett Reed, invece, decide di lasciare la band, alimentando le voci che vogliono i Rancid sull’orlo dello scioglimento. Il primo disco solista di Tim Armstrong, “A Poet’s ife” (2007), non fa altro che aumentare i rumours, mentre la raccolta “B Sides and C Sides”, contenente canzoni vecchie inserite nelle compilation o nei singoli (tra cui la splendida “Ben Zanotto”), fornisce una magra consolazione ai fan dei ragazzi di Berkeley.

Bisogna aspettare ancora qualche anno, infatti, prima di assistere al ritorno in studio della band. Dopo la guarigione completa di Freeman – che nel frattempo ha smesso di fumare – e l’arrivo in formazione di Branden Steineckert, batterista dei The Used, i Rancid tornano a suonare insieme. Il frutto della ritrovata unità è “Let the dominoes fall”, che arriva nei negozi di dischi nel giugno del 2009. L’album è lanciato dal profetico singolo “Last one to die”, ed è sempre prodotto da Brett Gurewitz. Let the Dominoes Fall entra in Billboard all’undicesima posizione ed è il disco della band classificatosi alla posizione più alta nella storica classifica americana. L’accoglienza dei fan, tuttavia, è abbastanza fredda: l’album, in cui non mancano buone canzoni, viene reputato un passo indietro rispetto a Indestructible. Criticato anche per il suono troppo “levigato” e per l’eccessiva leggerezza di alcuni brani, “Let the dominoes fall” è in realtà allo stesso tempo un disco di maturazione e di evoluzione, in cui non mancano brani in puro stile Rancid.

E così, eccoci arrivati ai giorni nostri. La band ha annunciato mesi fa il tour del ventesimo anniversario, lo stesso che la porterà, tra pochi giorni, a calcare nuovamente un palco italiano – nove anni dopo l’ultima volta. I fan – vecchi e nuovi, ma soprattutto vecchi – li hanno attesi per anni con trepidazione, ora finalmente possono tornare a cantare sotto ad un palco con Matt, Lars e Tim. Intanto si rincorrono le voci che vorrebbero un nuovo album in uscita tra la fine del 2012 e l’inizio del 2013. Per ora, però, non ci sono conferme ufficiali: è quindi probabile che la band tornerà in studio solo ad autunno inoltrato, oppure in inverno. “Faremo qualcosa, non sappiamo ancora che cosa. Ma siamo sempre insieme e ci parliamo ogni giorno”, ha detto Freeman in una recente intervista. Questo è quello che conta, per ogni fan della band di Berkeley. E cioè che i Rancid restino sempre uniti e che continuino a suonare per passione: una true story in un’epoca ricca di troll.