Apro Twitter e mi imbatto in un post del blog Donne Viola sulla bellezza e l’imperfezione e sulla necessità di eliminare lo stereotipo che il corpo femminile sia un elemento da perfezionare, modellare e plasmare. Un post breve, ma denso, contrariato dalla mostra in vetrina in rete dei lati B dell’estate.
Poco dopo, scorro trovo un post del ‘collega’ blogger Vito Kahlun. Ignara del contenuto, ma fiduciosa verso l’autore che seguo spesso, mi collego alla pagina del blog. Qui, però, con stupore e delusione trovo un decalogo sessista e stereotipato di consigli, da parte dell’autore, alle donne. Ho cercato di argomentare le mie critiche direttamente (perché il bello della rete è dibattere civilmente) all’autore via Twitter, ma i pochi caratteri hanno reso l’impresa ardua.
Quello che volevo comunicare è che, a partire dal linguaggio utilizzato (fortemente incentrato su una visione maschile della donna), il suo post è percepibile come sessista, nonostante l’intento (a quanto obiettatomi direttamente da Kahlun ) può essere quello di liberare la donna dalle catene di non si sa quale auto-imposizione.
Affermare che la donna sia prigioniera di schemi precostituiti, è cosa su cui concordo pienamente, ma ipotizzare che sia la donna stessa a costruire schemi limitativi a se stessa e alle proprie potenzialità sembra paradossale. Anche perché leggere “se aveste una vetrina in cui mettere in mostra una parte di voi, davvero ci mettereste le tette?” è manifestazione di una donna subordinata alla necessita si catturare l’attenzione di un occhio esclusivamente esterno e maschile: merce offerta al miglio offerente.
Spesso ci si è interrogat* sull’ipotetica complicità al sistema patriarcale delle donne che si prestano a pubblicità lesive della dignità femminile, ma si è sempre arrivat* alla conclusione che se il sistema mediatico bombarda l’utente di immagini relative a un’unica strada per le donne, la libertà diventa difficilmente raggiungibile.
I consigli del nostro autore, a mio parere quindi, liberano la donna imbrigliandola in una nuova maglia ideata da un creatore ancora una volta ‘uomo’.
La libertà è ciò che consente a un individuo di scegliere chi essere liberamente senza aderire a schemi precostituiti, tra i quali puttana, suora o monachella, morigerata, timorata di Dio, donna da scopata e donna da matrimonio.
In Jane Eyre, Charlotte Brontë fa prevalere la protagonista (descritta come dai lineamenti pronunciati) alla bellissima Blanche Ingram sul cuore di Rochester, non per esaltare la moralità dell’eroina, ma per proporre un nuovo modello di donna in cui intelligenza voglia dire consapevolezza di avere il diritto di autodeterminarsi.
Molti si chiederanno (giustamente) cosa c’entri Jane Eyre con il post di Vito Kahlun , rispondere tranquillamente nulla, ma è la seconda cosa che ho pensato quando ho letto il passaggio “Gli uomini una come Belen, nella maggior parte dei casi, non se la vogliono sposare…”. (il primo è stato “agli uomini piacciono le bionde ma poi sposano le more” che mi ha sempre fatto pensare a un tentativo di scatenare l’invidia delle more – tipo le Barbie scure che erano sempre meno importanti – nei confronti dell’iconicizzazione operata in favore delle bionde). Mi è venuta in mente Jane Eyre perché apparentemente potrebbe rispondere all’auspicio di un modello morigerato e velato auspicato da Vito Kahlun, ma al contrario rappresenta l’idea (all’epoca rivoluzionaria) di donna libera dal vincolo di s-vendersi per ottenere un matrimonio conveniente.
Charlotte Brontë auspicava una donna in grado di decidere del proprio destino, in grado di comportarsi alla pari dell’altro sesso (cosa quasi blasfema per un mondo a misura d’UOMO) utilizzando l’espediente della sua non bellezza solo come dettaglio iniziale per catturare l’attenzione del lettore dell’epoca (abituato a sognare eroine belle e di alto lignaggio come sole elette ai migliori matrimoni nobili) per poi introdurlo verso l’idea che la donna possa pretendere di creare se stessa liberamente anche – e, forse, soprattutto – oltre al matrimonio.
Le “donne di Vito Kahlun” potranno forse ispirarsi al modello “Eyre” da istitutrice super velata, ma il loro velarsi sarà esclusivamente finalizzato a entrare nella categoria brave ragazze da sposare..esattamente tutto l’opposto di quello che Charlotte Brontë voleva per le donne nel 1847!
Come scrivevo a Vito Kahlun, non esistono donne da sposare e donne con cui fare sesso perché non vorrei che passasse l’idea (nonostante le premesse dell’autore di non voler osannare la monachella) della riedizione dell’angelo del focolare, icona della famiglia, del matrimonio e, ovviamente, della maternità.
Una come Belén (espressione, a mio avviso, irrispettosa e categorizzante), sembrerà strano, ma può impersonificare sia ‘quella’ della farfallina sia, se lo vorrà (e qui torna il nodo centrale della questione) moglie esemplare, perché gli esseri umani, nella vita reale, non recitano a soggetto!
Come più volte detto in questo blog, non esistono donne buone e donne cattive, né esistono modelli positivi e modelli negativi. Il problema, piuttosto, è che si parli più di ‘culi, tette o zinne’ sui quotidiani che della crisi in Siria…
Varrà forse il vecchio detto ‘tira più un….’? Riguardo agli omissis..a buon intenditor poche parole!
P.s. Tutto ciò, senza polemica (e con il dubbio di essere pesante!), ma soprattutto non come critica personale a Vito Kahlun che stimo. Era solo un tentativo di cercare di spiegare meglio la mia allusione al sessismo fatta direttamente all’autore.