Sull’Archivio della Generatività, qualche mese fa abbiamo raccontato il caso di Riace, piccolo paesino calabrese, che da alcuni anni ha avviato un innovativo percorso di accoglienza per i rifugiati.
L’esperienza ha attirato interesse e consensi in quanto mette efficacemente a sistema una circolarità virtuosa tra aspetti social ed economici, promozione delle persone accolte e sviluppo locale. Riace ha dimostrato nei fatti che è possibile spendere meno ottenendo di più. Ad un costo giornaliero decisamente inferiore a quanto previsto dai centri di accoglienza, il modello Riace offre un percorso di integrazione reale – che prevede l’insegnamento dell’italiano, l’accesso a borse lavoro e a progetti di formazione, tutto all’interno di un quadro di riconoscimento dell’integrità della persona e della sua famiglia (di cui si cerca di evitare la separazione) – che alimenta al contempo un rilancio del paese.
Concretamente i rifugiati vengono accolti nelle case svuotate dall’emigrazione (ai proprietari viene pagato un affitto da parte di Città Futura, la cooperativa sociale in capo al progetto). A ciascuno di loro è consentito muoversi liberamente, socializzare con gli abitanti, acquistare nei negozi (quindi alimentando le piccole economie locali) attraverso un sistema di buoni. Ciò ha fatto sì che un borgo – probabilmente destinato a spegnersi per abbandono – abbia visto aprirsi nuove possibilità di sviluppo grazie alla capacità dei suoi abitanti di trasformare un problema in risorsa.
Tutto ciò rischia di essere definitivamente compromesso dal mancato arrivo dei fondi a copertura del progetto Emergenza Nord Africa, a cui anche Riace aderisce. Si tratta di contributi vitali per la sopravvivenza del progetto. I fondi sarebbero stati stanziati ma risultano però essere bloccati da questioni burocratiche.
Per riuscire a sbrogliare la situazione in stallo da mesi e consentire la distribuzione di risorse ai rifugiati e il pagamento degli operatori , Mimmo Lucano, il sindaco di Acquaformosa, paesino che con Riace condivide la scelta dell’accoglienza, e un operatore sociale hanno scelto lo sciopero della fame.
La vicenda, sicuramente umanamente inaccettabile ma non meno inquietante rispetto al tema della gestione della cosa pubblica, ci porta a vedere Riace come uno dei tanti casi di “miopia” italiana, ovvero l’incapacità di distinguere ciò che funziona – o che potrebbe funzionare se non deprivata delle giuste risorse (ovvero eque, correttamente destinate e pertanto produttive, continuamente monitorate e validate) – da quanto, invece, come le quotidiane vicende giornalistiche testimoniano, finisce inevitabilmente per diventare “scandalo”.
Nell’augurarci che la situazione possa rapidamente sbloccarsi, speriamo altresì che qualcosa dagli errori si impari. Perché Riace non sia un’altra occasione mancata. Perché, nella difficile arte del distinguere, qualcuno scelga la strada del coraggio.