di Germano D’Ambrosio
LA TRAMA
“Ehi, quanti anni hai, ragazzo?”. Lui mi guarda con un sospetto più che giustificato. “Diciassette”, risponde d’istinto. “Senti un po’, com’è che è andata la partita? Ero fuori, non ho potuta seguirla…”, chiedo mentendo, ma in modo piuttosto palese, così che gli rimanga il dubbio. “Un disastro, abbiamo perso 4-0. Silva e Jordi Alba nel primo tempo, Torres e Mata nel secondo”. Volevo sentirlo raccontato da lui. È visibilmente deluso, indossa una maglia della Nazionale di quest’anno, si capisce che era pronto a festeggiare insieme al gruppetto di amici poco distante. “Grazie, buona serata”. Lui fa un cenno con la testa, poi si gira veloce e beve un sorso di birra da una bottiglia mezza vuota che ha in mano. D’ora in poi crederà che le sconfitte abbiano quel sapore lì, di una birra calda e sfiatata bevuta in una torrida serata di luglio. Non conosce ancora, per sua fortuna, il sapore del panino rancido mozzicato a tarda notte, perché non si è mai trovato senza un centesimo in tasca in una città che non conosce. Non conosce quello delle lacrime miste a vodka, perché non ha mai cercato di dimenticare la morte di un amico. Mi guardo bene dal dirglielo, perché non avrei voluto che qualcuno me lo dicesse alla sua età, ma continuo a pensarci lungo il tragitto che mi porta a casa. Ci sono un sacco di ragazzi per strada. La sconfitta di oggi li priva di uno snodo discretamente importante nella loro vita, di una notte che avrebbero ricordato, al pari della prima scopata o della prima indigestione di frutti di mare. I genitori di quel ragazzo, a cui nemmeno ho chiesto il nome, domattina gli diranno che “nella vita si vince e si perde”, o che “le vere sconfitte nella vita sono altre, questa è solo una partita di calcio”. Sono le cose che si debbono dire, in questi casi, ma non è detto che siano quelle giuste. Il fatto è che a quell’età si deve credere davvero che caschi il mondo per aver perso una finale d’Europeo, è giusto che sia un fatto che cambi l’umore, è bene che si abbia poco appetito a colazione il giorno dopo. Tutto deve avere un senso, a diciassette anni, anche il fatto di iniziare a chiedersi come mai nulla abbia senso. È dopo, che cambia tutto. A diciassette anni non si potrebbe neanche scrivere un articolo come questo, senza capo né coda, che non si capisce dove vada a parare. Lo scrivo io, infatti, che non ho di questi problemi. E chiudo questo Europeo in una scatola di scarpe insieme a quella volta che sono rimasto bloccato in ascensore, quel libro di cui mi mancano da leggere dieci pagine, quel portachiavi che non ho più ritrovato. Cose insignificanti, inutili, che non hanno alcun senso accostate l’una con l’altra. Stasera niente caroselli per strada, posso dormire tranquillo. Mi mancano i miei diciassette anni, fanculo, mi mancano un sacco di cose. E questo è tutto, gente.
P.S. Ho fatto uno strappo alla regola, ho scommesso sulla gara dell’Italia stavolta. Ma a questo punto, che io abbia vinto o abbia perso, è davvero poco interessante.
Man of the match
Del Bosque. Di fatto passerà alla storia per aver vinto una competizione internazionale non schierando attaccanti (butta dentro Torres nel finale solo per darci il contentino). Crea un precedente molto pericoloso: a quando ciclisti bendati, e nuotatori che si fanno ingessare un braccio?
La scena madre
Qualche centinaio di studenti Erasmus spagnoli che, ne sono certo, in queste ore stanno festeggiando nel nostro Paese. Non ho più niente da perdere nella vita, quindi sperate di non incontrarmi mai. I tempi dell’ostello daa juventus sono finiti: non fate più ridere nessuno, siete l’emblema della sconfitta del mondo occidentale.
RVSP
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È l’ultima puntata, grazie di tutto, no niente occhi lucidi per favore. Noi ci siamo divertiti, se è capitato anche a voi si è trattato di un effetto collaterale assolutamente imprevisto.