“Il mio segreto? Ad Ancona gioco sempre, dunque mi diverto. Meglio qui che far panchina in una grande“. Era felice, Lajos Detari, quel pomeriggio del 6 dicembre 1992. Con una doppietta personale, condita da una prestazione superba, aveva steso l’Inter guidata da Osvaldo Bagnoli nella gara valevole per la dodicesima giornata del campionato di serie A.
I nerazzurri si erano presentati nel piccolo stadio marchigiano (nuovo, con una montagnola al posto di una curva) convinti di fare bottino pieno per riuscire a tenere il passo del Diavolo tritatutto (e “vinci tutto”) di Fabio Capello. Ernesto Pellegrini, l’allora presidente della Beneamata, lo aveva esplicitamente dichiarato negli istanti precedenti l’incontro: “Il Milan? Lo riprendiamo, lo riprendiamo“. Accompagnando il concetto con un più prudente “Chi segna per primo vince“.
In effetti le cose andarono proprio così: al 19′ di gioco l’ungherese aveva approfittato di un’incertezza a centrocampo dei nerazzurri per impadronirsi del pallone, difenderlo evitando il rientro di un avversario e poi calciarlo con violenza all’incrocio dei pali della porta difesa da Zenga. Il quale, vittima di un altro disimpegno errato di un compagno (Riccardo Ferri, nello specifico) si era ritrovato qualche minuto dopo a dover recuperare la sfera ferma in una pozza d’acqua formatasi ai limiti dell’area di rigore prima che diventasse preda di Agostini, punta dei padroni di casa. Il risultato fu un impatto tra i due, con la conseguente espulsione del portiere della nazionale.
La reazione dell’Inter allo svantaggio e all’inferiorità numerica era sfociata in due occasioni capitate a Davide Fontolan e Matthias Sammer e neutralizzate da Micillo, estremo difensore dell’Ancona. Nel secondo tempo, invece, finì per arrendersi gradualmente all’entusiasmo dei locali, sotto una pioggia battente che aveva ridotto il terreno di gioco ai limiti della praticabilità. Di fronte alla sconfitta maturata la tesi difensiva di Pellegrini si era basata proprio su questo particolare: “Non ho nulla da rimproverare ai ragazzi, come si fa a giocare bene su quel campo?“.
Nicola Berti, centrocampista dei nerazzurri, la pensava diversamente: “Il fondo del campo è buono, su un altro terreno con quella pioggia non si sarebbe potuto giocare. Qui soltanto acqua che sprizzava ad ogni contatto. Ma non è che ci abbia decisamente danneggiato. I tre gol sono scaturiti da tre nostri errori“.
Detto del primo, al 29′ della ripresa era toccato a Sammer lanciare involontariamente il contropiede degli avversari: da un cross di Lorenzini la sfera era arrivata al solito Detari, che con un forte destro aveva poi trafitto Abate. Quando mancavano pochi minuti dalla fine dell’incontro il magiaro, ricevuto l’ennesimo regalo da parte della retroguardia interista (stavolta ad opera di Antonio Paganin), aveva dribblato tutti gli uomini che si era trovato davanti sino al momento in cui non era stato steso da un avversario. La palla, arrivata sui piedi di Lupo, veniva comodamente spinta a rete per il terzo goal, quello che chiuse definitivamente la partita.
L’aver iniziato il proprio percorso calcistico nella Honved di Budapest, laddove era esploso il leggendario Ferenc Puskas, aveva fatto presagire per Detari un futuro pieno di successi. In realtà la sua carriera diventò presto un girovagare di campionati, nazioni e squadre, non sempre di primissimo piano. Partì dall’Ungheria, per muoversi in Germania, Grecia, Italia (Bologna, Ancona), ancora Ungheria, Italia (Genoa), Svizzera, Austria, di nuovo Ungheria, Austria e Slovacchia. Poco prima di appendere le scarpette al chiodo aveva tentato un’esperienza come allenatore in Romania.
Rimasto nell’ambiente proprio come tecnico, ha conservato un buon ricordo della serie A (“E’ completa: oltre alla tecnica c’è molta tattica. Mi piace l’idea che si studi l’avversario per non farlo giocare e poi colpirlo nel suo punto debole. E’ stimolante per un allenatore“). Accostato a più riprese a società blasonate, sfiorò la Juventus – una di queste – dopo averne indossato la maglia nel corso di una tournée negli Stati Uniti.
Il talento non gli mancava certamente, come ammise con sportività Giuseppe Prisco dopo quella sconfitta patita dalla sua Inter: “L’Ancona? Bravo, determinato, ha meritato senza dubbio alcuno. Poi quel Detari. E’ un campione vero, ha classe da vendere“.
L’avesse utilizzata con maggiore costanza, magari non avrebbe avuto difficoltà nel trovare il compratore che aveva sempre sognato.