Keynes BlogTagliare gli stipendi dei dipendenti pubblici? Ecco cosa ne pensa Keynes

Il brano che segue è una sintesi "attualizzata" di un articolo comparso il 19 settembre 1931 su "The New Statesman and Nation" la rivista nata dalla fusione, voluta da Keynes, tra il giornale dell...

Il brano che segue è una sintesi “attualizzata” di un articolo comparso il 19 settembre 1931 su “The New Statesman and Nation” la rivista nata dalla fusione, voluta da Keynes, tra il giornale della società fabiana (l’ala riformista del partito laburista) e quello del partito liberale. Oggi come allora, i governi colpiscono il reddito dei lavoratori pubblici, come premessa per un generale abbassamento di salari e stipendi. Keynes spiega come questa manovra non risolva i problemi, ma serva solo ad ingraziarsi il “Moloch delle finanze” e a tener fede al “punto di vista del Tesoro” (cioè, l’austerità).

Nel testo abbiamo sostituito “insegnanti” con “pubblici dipendenti”, senza tradire il senso del discorso, visto che l’autore fa comunque riferimento all’intero settore pubblico nell’articolo original, e “gold standard” con “euro”. Il testo completo si può trovare in “Esortazioni e profezie”, Il Saggiatore.

Il bilancio e il progetto di legge per l’economia rigurgitano di sciocchezze e ingiustizie. I redditi dei cittadini abbienti sono stati ridotti di una percentuale che va dal 2,5 al 3,5 per cento; quelli dei pubblici dipendenti del 15 per cento, senza contare le imposte addizionali che devono pagare. E’ una cosa mostruosa scegliere proprio questa categoria solo perché ha la ventura di dipendere dallo Stato. Il fatto di aver scelto i pubblici dipendenti per sacrificarli, come un’offerta propiziatoria al Moloch delle finanze, è prova sufficiente dello stato di isterismo e di irresponsabilità in cui si è cacciato il consiglio dei ministri.

Il programma del governo è non solo sciocco ma anche sbagliato. Le conseguenze dirette sull’occupazione non potranno che essere disastrose. Il programma è il trionfo del cosiddetto “punto di vista del Tesoro” nella sua forma più estrema. Non solo si dovrà ridurre il potere d’acquisto, ma verranno ridimensionati i lavori pubblici. Le autorità locali dovranno uniformarsi. Se si dovesse accogliere la teoria che sostiene il tutto, il risultato sarebbe che nessuno potrebbe più trovare lavoro, dato che ciascuno dovrebbe rifiutare, per ragioni di risparmio, di acquistare i servizi dall’altro.

Vi è infine il problema della bilancia commerciale che, dopotutto, costituisce il punto critico, sotto il profilo dell’emergenza. Il taglio degli stipendi dei pubblici dipendenti non aiuterà a riconquistare i mercati mondiali, perché si dà il caso che le remunerazioni varie tenute sotto controllo diretto dello Stato siano proprio quelle che è più inutile abbassare ai fini del commercio internazionale. Ci si dice che è un processo alle intenzioni vedere in tutto questo i preliminari di un attacco generale ai salari. Eppure non può avere che questo significato. Ma nel frattempo il governo si è accorto che esiste un solo caso in cui il suo intervento aggrava i costi di produzione, vale a dire i contributi assicurativi dei datori di lavoro che sono, in pratica, un’imposta sul numero degli occupati. E così, al fine di dimostrare senza ombra di dubbio di essere assolutamente folle, il governo ha deciso di aumentarli.

Il progetto governativo, per amore del quale ci si chiede di ingoiare rospi, non favorirà la soluzione del nostro duplice problema: la disoccupazione e una bilancia commerciale in passivo. Per quanto riguarda quest’ultima, se non sanata, porterà in un futuro non lontano al crollo dell’euro, anche se riducessimo gli stipendi degli statali a zero.

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