Francesca Salvadori l’ho conosciuta a Milano. Fiorentina doc, nel suo vocabolario non esistono parole con la lettera c. Francesca fa parte del misterioso mondo delle Human Resources e tante volte mi ha dato consigli per valorizzare il curriculum e affrontare i colloqui. Le ho proposto allora un’intervista per riproporle le domande con cui l’ho bersagliata quest’inverno. Credo che sia utile leggere le sue risposte. In primis perché è molto preparata, ha già all’attivo due esperienze in multinazionali diverse, ma soprattutto perché è nostra coetanea. Non è passato molto tempo da quando anche lei cercava lavoro. Per questo può perfettamente rendersi conto delle problematiche, dei dubbi e delle ansie di chi si trova in questa difficile fase.
Per iniziare ho voluto chiederle come mai avesse deciso di orientarsi verso il settore delle Risorse Umane: “Nella mia città (Firenze) mi sono laureata nel corso di Laurea in Comunicazione e Pubblicità presso la facoltà di Lettere e Filosofia; è stato un percorso di studi interessante ma purtroppo poco spendibile dal punto di vista lavorativo. Ho pensato alle Risorse Umane perché mi sembrava un buon incontro tra la mia preparazione umanistica e il mondo del lavoro, così ho provato ad entrare al Master in International Human Resource Management all’Università Cattolica di Milano, e fortunatamente sono stata ammessa. Ho iniziato questo nuovo percorso senza sapere realmente quanto è vario e strutturato il settore delle Risorse Umane, e adesso dopo quasi due anni in questo ambiente, sono contenta della mia scelta perché è un mondo in cui ogni giornata è diversa dalle altre e non si finisce mai di imparare: il colloquio di selezione è solo la punta dell’iceberg, si ha costantemente a che fare con le persone, ognuna con i suoi problemi e le sue richieste.”
Francesca mi spiega poi come sia stimolante il momento del colloquio di lavoro in quanto ogni persona che si incontra ha il suo percorso da raccontare. Lei si occupa principalmente della selezione degli stagisti o apprendisti, ed è felice di lavorare in un’azienda che investe molto sui giovani; ama lavorare nella selezione di questo target, perché incontra molti neolaureati suoi coetanei con grande voglia di iniziare a mettere in pratica quello che hanno imparato durante gli studi. A questo punto sorge quasi spontanea la domanda su quanto conti la prima impressione di una persona durante il colloquio: “L’impatto della prima impressione è minimo, e cambia a seconda del profilo ricercato. Ad esempio, se sto selezionando un candidato per una posizione di back office, non faccio caso se è vestito in modo formale o no (nei limiti!), mentre se sto selezionando una figura commerciale che andrà ad interfacciarsi con i clienti, mi aspetto più formalità anche nell’abbigliamento, ma non è comunque un motivo che pregiudica completamente la selezione. “La prima impressione è quella che conta” è un mito da sfatare, il più delle volte molti candidati sono timidi, ma appena si sentono a loro agio il colloquio assume il tono di una chiacchierata. Preferisco i candidati trasparenti e spontanei, che magari ammettono di non sapere qualcosa, rispetto chi cerca di crearsi un personaggio per fare una buona impressione.”
Le ho chiesto poi come valorizzare nel migliore dei modi il proprio curriculum vitae. Francesca ha precisato innanzitutto, come qualsiasi brava HR, che i candidati dovrebbero fare una selezione delle cose da scrivere o meno nel loro Curriculum sulla base della società o ente a cui lo stanno inviando. “Spesso leggo CV di ragazzi molto giovani, che magari hanno all’attivo solo esperienze saltuarie durante gli studi; il mio consiglio è quello sì, di scrivere le occupazioni svolte durante gli studi, ma senza dilungarsi troppo se il settore non è attinente a quello dell’azienda alla quale si sta presentando il CV o se l’attività svolta non ha bisogno presentazioni. La maggior parte dei candidati utilizza il formato europeo, il quale sotto ogni esperienza lavorativa aggiunge delle voci quali “competenze acquisite, principali mansioni etc..” , tutti abbiamo servito in pizzeria o fatto la babysitter, ed è importante scriverlo perché si dimostra di essersi dati da fare, ma secondo me, basta citarlo inserendo le date di inizio e fine dell’esperienza; mentre se si ha già un’esperienza nel settore dell’azienda a cui ci stiamo presentando, allora possiamo inserire i particolari dell’attività svolta. Inoltre, attività di volontariato, progetti particolari svolti in ambito universitario, attività di allenatore sportivo, etc, sono informazioni da includere nel CV e possono aiutare anche a far sentire il candidato a proprio agio durante il colloquio nel parlare dei suoi interessi e delle sue passioni.
L’unico must? Curriculum chiari e sintetici, con l’indicazione delle date e senza lungaggini eccessive.”
Giunte quasi alla conclusione della nostra intervista le ho domandato quale fosse la sua opinione sullo stage, di cui lei non ha un giudizio negativo. Mi ha ribadito come il problema riguardi le aziende che ne fanno un uso scorretto.
L’aspetto importante, secondo lei, va visto nella funzione formativa dello stage: Il tutor dovrebbe saper utilizzare al meglio la giovane risorsa che ha a disposizione, il più delle volte con tanta energia e voglia di imparare. A sua volta lo stagista deve essere una spugna, disposto ad imparare tutto quello che può, in modo da riutilizzare le competenze acquisite in futuro. Spesso non è così: agli stagisti vengono assegnati i lavori più monotoni che nessuno vuole fare, le famose fotocopie, lavoro di archivio o di segreteria. Così i ragazzi sono demotivati nello svolgere lavori scarsamente stimolanti. Ha proseguito dicendomi: “Io credo però che, anche se l’esperienza non risponde al 100% alle aspettative, non tutto il male viene per nuocere. Stando in azienda si acquisiscono molte capacità anche inconsapevolmente: il rispetto dei rapporti gerarchici, il linguaggio appropriato, la gestione dei rapporti con i colleghi. In più, si ha un nome di un’azienda sul CV, che potrà essere motivo di interesse per un’altra società in futuro. La mia esperienza è quella in un’azienda dove si crede molto nelle risorse giovani, si investe tanto in formazione on the job e fortunatamente, non avendo risentito troppo della crisi, si continua ad assumere. Vengono presi stagisti quando c’è un bisogno effettivo di qualcuno che svolga un lavoro utile al business. Ovviamente pagandoli.” Queste sono state le sue considerazioni sul tipo di contratto più offerto in questo momento nel nostro paese.
Per terminare la nostra chiacchierata/intervista ho posto a Francesca quest’ultima antipatica domanda, fatta da tutte le selezionatrici ai colloqui: come ti vedi fra cinque anni?
“Io questa domanda non la faccio mai perché sono la prima a non sapere come rispondere! Visti i tempi attuali una risposta potrebbe essere “spero non una disoccupata”. Scherzi a parte, sarei felicissima di rimanere dove lavoro oggi perché mi sono trovata molto bene con le mie colleghe che hanno due – tre anni più di me e il mio capo, il più “vecchio”, di 33 anni, ma vorrei anche tornare nella mia città. In definitiva fra 5 anni mi vedo a Firenze, di nuovo, con la mia famiglia e i miei amici, con un lavoro nell’ufficio HR di una grande azienda dove l’età media è di 35 anni.
Nei sogni non si può fare un mix?