Non bisogna giocare con il cibo. Eppure sempre più artisti e designer lo utilizzano come fonte di ispirazione per divertirsi a rendere le loro creazioni più golose
Ricordate quando la mamma ripeteva fino allo sfinimento: «non bisogna giocare con il cibo»? Ecco, non datele più ascolto. Perché a giocare con il cibo si può andare lontano, addirittura farne una piccola fortuna come hanno dimostrato molti artisti e creativi che dalla dispensa hanno attinto ispirazione a piene mani.
A sfruttare l’impatto visivo del cibo a favore della comunicazione pubblicitaria sono stati quelli di Esselunga, con la famosa campagna pubblicitaria che ammiccava al consumatore giocando sulla rassomiglianza tra i propri prodotti dei propri scaffali e alcuni animalioggetti di larghissima notorietà.Fu un successo così ampio che si decise di replicarlo. Nel 2001 la prestigiosa agenzia “Armando Testa” ideò la campagna “Famosi per la qualità”. Chi non si ricorda di Melanzana Jones, 00 Fette, John Lemon o Porro Seduto?
La trovata è stata ripresa recentemente dal fotografo e designer Dan Cretu, che ha però deciso di spingersi un poco oltre.Il cibo non è più un elemento di paragone, un oggetto antropizzato per scatenare l’ironia del consumatore e richiamare il marchio ad esso associato. Prendendo spunto da una tradizione che vorrebbe l’Arcimboldo a capostipite, Dan Cretu ricrea oggetti quotidiani a partire da frutta e verdura. Sculture particolareggiate in cui bucce d’arancia, zucchine, limoni e fette di salame diventano macchine fotografiche, tubetti di tempera o motocicletta, ruote di bicicletta o nastri di vecchie cassette musicali.
L’operazione di Dan Cretu è rivolta alla texture, più che alla somiglianza, alla composizione più che al paragone. Il cibo viene ridotto a superficie, a elemento di decorazione e abbellimento. Per l’artista neppure la forma del cibo è fondamentale (come invece lo era per l’Arcimboldo) quanto piuttosto il suo effetto straniante. Di fatto, Cretu ritaglia impunemente le bucce d’arancia e ricostruisce anche digitalmente alcune superfici.
Il rapporto con in cibo diventa allora puro gioco infantile di scomposizione e ricomposizione. Come quando nel piatto ci si diverte a disegnare forme con le bucce della mela, il purè o la marmellata. L’artisticità del prodotto viene così depotenziata e si avvicina alla creatività pubblicitaria. Ma la giocosità del tutto è irresistibile ed è impossibile non sorridere di fronte ad una macchina fotografica con un flash al limone (per altro ottima sinestesia poetica).
E allora facciamo Cheese!: un bel sorriso bianco ricotta, giusto per restare in tema…
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