Bestie e SovraniIl libro di Matteo Renzi è come La corazzata Potëmkin

Chi obbliga un sindaco a scrivere un libro? Nessuno, non è il suo mestiere. Non è un filosofo, uno scrittore o un accademico: è un uomo che dovrebbe governare decentemente la sua città, per il bene...

Chi obbliga un sindaco a scrivere un libro? Nessuno, non è il suo mestiere. Non è un filosofo, uno scrittore o un accademico: è un uomo che dovrebbe governare decentemente la sua città, per il bene dei governati. Il resto è un in più.

Si presume dunque che se un sindaco scrive un libro, lo fa perché ha qualcosa di particolarmente interessante da dire o, per esempio, perché coltiva la passione per la scrittura in modo del tutto indipendente alla sua professione.

Ma non è il caso di Matteo Renzi, sindaco rottamatore di Firenze, che ha partorito la sua ultima fatica: Stil novo. La rivoluzione della bellezza da Dante a Twitter (Rizzoli, 2012). Il libro in questione è molto simile a La corazzata Potëmkin secondo il ragionier Fantozzi: «una cagata pazzesca».

Ora: con questa storia del sindaco “intellettuale raffinato”, con tutto il rispetto, la sinistra del PD ha un po’ grattugiato i maroni. Abbiamo avuto i Rutelli che parlavano l’inglese “this is pizza with cozze”, i Veltroni dal romanzo facile … e ora ci tocca un Renzi spregiudicato che confeziona perle, nel suo capolavoro di carta, di una rarità davvero unica: «L’uomo può ciò che vuole, scriveva Leon Battista Alberti, in una frase citata anche da Steve Jobs mentre si accingeva a rivoluzionare il mondo presentando l’iPhone».

Recensire criticamente il libro che mette twitter nei gironi danteschi, e dante nei tag di facebook, sarebbe davvero come sparare sulla croce rossa: sul Sole 24 Ore prima, e su Minima & Moralia poi, è uscito un bel pezzo a tal proposito, firmato da Claudio Giunta, che sottolinea come la cultura come pilatro programmatico entro il programma di Renzi sarebbe buona cosa, se solo il sindaco di Firenze dimostrasse un minimo di dimestichezza con l’argomento.

Probabilmente per Renzi un libro è un posto dove mischiare, frullandoli, i pensieri che lui (e solo lui) vede come fondamento di una rivoluzione: quella dei giovani in politica, anche se incompetenti.

Ma Renzi e il suo pessimo libro sono solo un sintomo di un problema più grande: Stil novo è una scatola di pensieri che molti farebbero, esposti in un modo semplice e comune, e leggerlo è come mangiare quelle cose che non saziano per niente, perché nulla si impara da ovvietà del genere. E non c’è nulla di male a pensare le cose che pensa Renzi, se poi non ci si atteggia a intellettuale di altri tempi.

Ma facciamo pure che la Rizzoli, tra i maggiori editori italiani, sia giustificata (ma non lo è) nel pubblicare un po’ di quelle che, tecnicamente, il filosofo Harry Frankfurt definì Bullshit (in un altro libro, stavolta bello, tradotto in italiano proprio da Rizzoli), solo perché firmate da un tizio famoso.

È Renzi che non è giustificato a proporre a un editore questi pensierini da asilo, spacciandosi per il giovane intellettuale che rinnoverà, non solo il primo partito italiano, ma addirittura l’Italia stessa. Émile Durkheim, sociologo francese, formulò il concetto di “divisione del lavoro sociale”: se ognuno fa il suo, e lo fa bene, la coesione sociale è salva e un’altra divisione, quella delle competenze specifiche formulata dal filosofo Hilary Putnam, si salva a sua volta: nessuno si aspetterebbe da Renzi il saper scrivere un libro, mentre ci aspetteremmo che la città che gli compete sia governata egregiamente.

Ma se Renzi, e uso il condizionale apposta, scrive come governa (viceversa, più che altro) non ci resta che piangere all’idea, concreta, che questo insieme triste di senso comune possa essere spacciato come il nuovo che avanza, in un paese che arretra.

Abbiamo librerie piene dei libri di Maurizio Lupi, di Gianfranco Fini, di Silvio Berlusconi … ma insomma, dove lo trovate il tempo di lavorare, voi?

C’è poi, in Stil novo, tutta questa retorica del coraggio: una mega pubblicità della Apple, quella di Renzi, che vorrebbe governare l’Italia a colpi di «stay hungry, stay foolish».

Ma io, dopo aver letto questo libro, più che hungry, mi sento solo angry: che per l’inglese di Rutelli, tanto, non c’è differenza.

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