L’Agenda Digitale europea è uno strumento fondamentale della politica europea per l’innovazione. Una serie di obiettivi da raggiungere per posizionare l’Europa tra le aree più competitive del pianeta.
I paesi europei che crescono sono quelli più avanti nella realizzazione dell’agenda digitale (non è solo questo l’elemento distintivo ma sicuramente è il principale), quelli che si sono impegnati di più e prima nel settore ICT.
L’Italia ha accumulato ritardi, ha spesso sprecato risorse (come non ricordare il miliardo di euro delle licenze UMTS buttato via nel programma di egovernment di Stanca), ha facilitato lobby predatrici anziché la capacità di imprendere, l’industria, il lavoro e il merito.
E allora il nostro programma di agenda digitale è fare le gare, mettere quel denaro che c’è facendo bandi per progetti di copertura della banda larga, smart cities e tante altre iniziative. Il che va bene per raggiungere l’obiettivo di entrare nei primi posti dei benchmark europei ma quali risultati producono? Un po’ come è successo quando il ministro Brunetta ha sbandierato come un successo l’essere comparsi tra i primi paesi in europa nelle classifiche dell’egovernment senza che nessun cittadino se ne fosse accorto.
Certo mettere denaro nel sistema è fondamentale, gli acquisti pubblici sono comunque un mezzo per far lavorare aziende ma come questo viene fatto non è indifferente.
A me pare che stiamo trattando il tema dell’agenda digitale come fa lo studente furbo che di fronte ad un esame difficile punta a studiarsi il “bignami” e cerca le domande e risposte dagli altri colleghi o da qualche azienda specializzata in esami di recupero. Le nostre “aziende specializzate” sono multinazionali che hanno già fatto progetti in altri paesi europei e non, gli “altri colleghi” è quella vena esterofila che ci porta a prendere progetti, idee, iniziative pensate e realizzate all’estero e portarle in Italia senza tener conto delle nostre particolarità o, ancora peggio, se ci possono essere veramente utili sia come sistema economico che sociale.
Sempre più spesso parlare di agenda digitale significa solo parlare di qualcosa che la pubblica amministrazione deve acquistare, sarebbe bello che facesse, qualche “diritto” dei cittadini del terzo millenno. Forse dovremmo approcciare il tema pensando all’agenda digitale come una agenda industriale del nostro paese.
L’importante di un esame non è il voto che riusciamo a prendere malgrado i sotterfugi che mettiamo in campo, ciò che ci rimarrà è quello che abbiamo imparato e come sapremo utilizzarlo nel futuro. L’esame è anzitutto una opportunità di acquisire competenze che possiamo spenderci dopo, se non immaginiamo l’esame in questo modo perdiamo il senso di farlo. Certo dire queste cose in paese che vede dinastie di professori universitari nella stessa facoltà e ministri dell’istruzione che migrano di città in città per superare più facilmente esami sembra quasi una fesseria, forse lo è, tuttavia il mondo che cresce funziona così.
Quando vediamo gli investimenti della Germania in banda larga dovremmo vedere il colosso mondiale delle reti siemens-nokia, quando pensiamo alla Francia dovremmo accorgerci di Alcatel-Lucent. Dietro ad ogni paese europeo che cresce de è tra i primi posti del programma di agenda digitale c’è qualche impresa del settore ICT che si distingue a livello internazionale e che è nata grazie ad una idea originale fatta di ricerca, sviluppo, capacità, imprenditoria. Dalla tededca SAP alle imprese della Lituania e dei paesi Baltici.
L’idea che basti solo mettere soldi nelle gare senza una strategia industriale dietro è sbagliata. Abbiamo bisogno di individuare delle aree nelle quali possiamo distinguerci per tecnologie e capacità e puntare su quelle. Nell’innovazione arrivare secondi è più inutile che non partire nemmeno.
Dovremmo puntare a costruire dei poli di eccellenza in termini di ricerca e sviluppo, le gare dovrebbero essere dirette a stimolare nuovi settori ICT in modo da poterci ritagliare fette nuove di mercato internazionale. I progetti devono servire come “laboratorio” per fare esperienza con nuove applicazioni e nuovi settori in modo da poter avere imprese che vanno al’estero con le carte in ordine a vendere tecnologie e servizi.
Quale migliore occasione puntare su settori nuovi che hanno una buona base di ricerca in Italia?
Se nel mondo parli di spazio a molti viene in mente l’Italia, il settore delle comunicazione via satellite ci vede in ottima posizione possiamo pensare di lavorarci di più e provare ad innovare servizi e prodotti come supporto della infomobilità o della comunicazione in banda larga? Il wireless è lo stesso. Ma anche sulla robotica abbiamo qualcosa da dire, non potremmo immaginare “smart communities” che fanno uso di robot per il servizio antincendio, la vigilanza civile, accompagnare a scuola i ragazzi o centiania di altre applicazioni che ci sembrano ora solo assurde? Ma la stessa cosa potremmo farla nel campo dell’egovernement. Solo esempi, ce ne sono molti altri.
Magari la nostra agenda digitale non sarà uguale a quella degli altri paesi europei ma porterà il suo contributo come capacità di fare e ci darà una leva di crescita come sistema Paese.
Per fare questo non possiamo aspettarci che le imprese siano in grado di fare da sole, il sistema italiano non consente a chi buone idee di crescere. Dobbiamo cambiare le regole ma dobbiamo prenderne anche atto e mettere in gioco la forza della mano pubblica che, come è successo per il boom economico del dopoguerra, prenda in mano alcuni settori strategici e li faccia guidare ad una classe manageriale capace.
Non ci sono esami facili e risultati semplici, evitiamo di usare l’ “italica scaltrezza” sempre e comunque. Il nostro traguardo non dovrebbe essere quello di superare l’esame dell’agenda digitale ma di costruire un futuro per il nostro sitema economico e sociale al collasso. Non sono tra quelli che credono allo studio solo come sacrificio e sudore, ho sempre creduto che se le strade difficili hanno obiettivi per cui valga la pena spendersi il sacrificio che richiedono può essere un momento di soddisfazione che riempie anche di gioia.
Possiamo credere che questa scommessa sia possibile, cimentarci, spenderci oppure tirar fuori la nostra arte di arragiarsi e il nostro “mandolino” mentre compriamo tecnologie e servizi all’estero.
Io credo che sia molto meglio impegnarsi per fare qualcosa di eccellenza che trovarsi il giorno dopo l’esame con il vuoto di chi sa che non è servito a niente. Non so se siamo pronti per una sfida di questa portata ma so che non possiamo pensare di evitarla.