Women must go on…Lydia Cacho: la giornalista lascia il Messico per nuove minacce di morte

Apprendo da poco, grazie a GiULiA che Lydia Cacho, giornalista messicana impegnata nella lotta per i diritti delle donne e nella difesa dei minori dallo sfruttamento pedopornografico, è stata costr...

Apprendo da poco, grazie a GiULiA che Lydia Cacho, giornalista messicana impegnata nella lotta per i diritti delle donne e nella difesa dei minori dallo sfruttamento pedopornografico, è stata costretta a lasciare il Messico per nuove violente minacce di morte.

Sono anni che Cacho subisce la violenza dei potenti per non aver avuto paura di denunciare una fitta rete di sfruttamento della prostituzione minorile e la tratta di esseri umani in Messico ad opera di imprenditori e politici (per approfondimenti Lydia Cacho, Memorie di un’infamia, ed. Fandango, 2011).

Lydia Cacho è una donna coraggiosa che ha saputo creare, con l’aiuto di molte persone altrettanto valorose, una rete a sostegno delle donne e ragazze vittime dello sfruttamento sessuale. Cacho è un esempio di altruismo e di impegno e, come già successo per Rossella Urru, suscita profonda ammirazione per la grande umanità che l’ha spinta al sacrificio personale, in nome di valori improcrastinabili.

Se, come si legge nei suoi libri, spesso le istituzioni messicane hanno insabbiato il suo lavoro e le sue indagini (arrivando addirittura ad arrestarla) al contrario colleghi, operatori del sociale, avvocati e persone comuni hanno saputo sostenere l’impagabile volontà e forza d’animo della scrittrice.

I valori da lei difesi, a rischio della vita, sono stati quindi assunti da una comunità priva di potere politico, ma detentrice di un potere di comunicare con le persone che ha fatto vacillare il silenzio imposto dalle autorità messicane. Lydia Cacho e i colleghi CIAM di Cancún (organizzazione senza scopo di lucro che promuove i diritti umani, l’uguaglianza e si adopera per sradicare tutte le forme di violenza di genere) hanno avuto la capacità e la tenacia di attirare l’attenzione e scatenare una notevole eco su vicende che i media ufficiali, per ragioni a volte impronunciabili, stentano a diffondere.

Possiamo noi aiutare oggi Lydia di Cacho, ripagandola in qualche modo del suo impegno? Se per Rossella Urru la rete ha avuto il merito di diffondere informazioni sul suo rapimento, per Lydia Cacho potrebbe arrivare a obbligare i media a parlarne e, conseguentemente, le istituzioni internazionali a impegnarsi nella difesa del sacrosanto diritto di una cittadina onesta di poter vivere nel proprio paese, perseguendo, una volta per tutte, i responsabili del calvario che Cacho subisce da anni, soprattutto da quando, nel 2005, ha pubblicato il libro I demoni dell’Eden.

Ho da poco proposto su Twitter di diffondere l’hashtag #LydiaCacho per pubblicare le notizie riguardanti l’esilio forzato della giornalista. Non servirà a molto, è ovvio, ma se ognuno di noi pubblicasse solo poche parole al giorno delle denunce fatte dalla giornalista, forse il silenzio imposto dalle autorità messicane potrebbe essere finalmente rotto.

E io comincio da qui: “Possono cancellarmi dai media, possono anche eliminarmi fisicamente. Quel che mai potranno negare è l’esistenza di questa storia, eliminandola mia voce e le mie parole. Finché sarò viva continuerò a scrivere, e finché scriverò continuerò a essere viva”. (da Memorie di un’infamia, pag 258).

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