Linkiesta pubblica la lettera di Mikhail Khodorkosvky a Le Monde (qui l’originale), in cui l’oligarca finito dietro le sbarre traccia il parallelo tra il suo destino e quello delle Pussy Riot vittime del regime putiniano:
“…Io conosco questo “acquario” della sala 7 del tribunale. È stato installato in via speciale per me e Platon Lebedev, dopo che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Cedu) ha riconosciuto che era degradante e in violazione degli stessi diritti tenere gli accusati dietro delle sbarrre…”
È vero che la giustizia spesso non sia giusta, come é vero che le prigioni russe siano in condizioni disastrose e le condizioni dei reclusi siano spesso e volentieri disumane.
In questo senso il parallelo tra Misha e le Pussy é condivisibile. Ma la questione é più sottile, visto che lo scopo di Khodorkovsky é quello di andare oltre l’acquario e di ritornare sul punto della prigionia politica. Ma il gioco non regge. O meglio regge solo per chi ha le fette di salame sugli occhi. In doppio strato.
Lo scorso anno la citata Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha sancito proprio il contrario, cioè che Mikhail Khodorkovsky non é un prigioniero politico (qui la sentenza orginale). Nella lettera Misha cita solo la parte che gli fa comodo, ci mancherebbe altro.
Riassume così il Sole 24 ore del 31 maggio 2011:
“Mikhail Khodorkovsky, ex patron della Yukos, non è un perseguitato politico e il suo arresto e la sua carcerazione preventiva, durata un anno e sette mesi, non sono stati il frutto di una macchinazione ai suoi danni. Lo ha stabilito oggi la Corte europea dei diritti umani, che però ha condannato Mosca a pagare a Khodorkovsky un risarcimento di diecimila euro per non aver rispettato il suo diritto alla libertà e averlo sottoposto a trattamento inumano e degradante...I giudici di Strasburgo non hanno invece riconosciuto a Khodorkovsky lo status di perseguitato politico. Secondo la Corte «mentre il caso può far sorgere dei sospetti sui reali motivi che le autorità russe avevano per processare Khodorkovsky, l’accusa che l’azione giudiziaria sia motivata politicamente deve essere supportata da prove incontestabili, che non sono invece state prodotte dal ricorrente”.
Insomma, se Khodorkovsky é dietro le sbarre un motivo c’é. Il fatto che a dirlo non é un tribunale stalinista dovrebbe far capire anche ai sassi che la storia della persecuzione é una balla e il buon Misha un martire non é.
Eppure la stragrande maggiornanza dei media (consapevolmente o meno) presenta Khodorkovsky come il simbolo dell’arbitrio del Cremlino. La realtá é che un po’ ladro davvero lo é e metterlo al fresco non é proprio un reato di lesa maestà. Tutt’altro. Semmai il paradosso é che tutti gli altri della sua sorta non abbiano fatto la stessa fine, ma questa é un’altra storia.
Pochi hanno descritto la vicenda in maniera così chiara come Pino Arlacchi, con il quale si può essere in disaccordo su varie cose, ma non si può certo dire che non sia un esperto di criminalità organizzata internazionale:
“Non mi straccio le vesti sul caso Khodorkovsky, e chi lo considera un martire delle libertà è vittima di una disinformazione clamorosa. E di una Babele politico-mediatica che finisce col rendere tutti più ignoranti. Sakineh, Battisti, Khodorkovsky: che differenza c’è? Credo di saper riconoscere un mafioso, e posso affermare che Khodorkovsky è stato un mafioso tra i più pericolosi. Che invece di pentirsi, restituire il bottino nascosto nei paradisi fiscali e chiedere perdono alle sue vittime, finanzia campagne di pubbliche relazioni che hanno raggiunto il surreale, accostandolo a Sacharov, Gandhi, e tra un po’ anche a Gesù Cristo. Quando si tratta, al massimo, di un oligarca sconfitto in una guerra di potere, e imprigionato con procedure discutibili. Non mi straccio le vesti anche perché ho conosciuto la Russia degli anni 90: uno stato della mafia i cui massimi architetti e beneficiari sono stati proprio Khodorkovsky e i suoi compari oligarchi. Uno stato edificato con l’amorevole assistenza della finanza occidentale, che ha colto l’occasione della caduta del comunismo per costruirci sopra una montagna di soldi…
L’ élite criminale più vicina agli oligarchi amici di Yeltsin è quella dei boss di Cosa Nostra. Stessa ferocia, stessa protervia politica, mascherata da un grado di ricchezza, istruzione e status sociale di gran lunga superiori. Gli ex-caprai di Corleone non hanno mai neanche sognato i livelli di agiatezza e sofisticazione dei magnati criminali russi. Il capo di Cosa Nostra russa era Boris Berezovsky, quello che viene intervistato dai giornali italiani nei panni di un rifugiato politico in Inghilterra…
Alla fine del 1995 il governo russo, invece di chiedere prestiti alla Banca Centrale, si rivolse alle banche degli oligarchi. Come garanzia per il credito concesso, queste banche avevano ricevuto in custodia temporanea i pacchetti azionari di maggioranza delle più grandi imprese del paese. Un anno dopo, proprio per consentire agli oligarchi di tenersi le azioni, il governo decise di non restituire i prestiti. Così Berezovsky ed i suoi, dopo aver prestato 110 milioni di dollari, si ritrovarono in mano il 51% di un’azienda, la Sibneft , che valeva 5 miliardi di dollari. Il gruppo Menatep, guidato da Khodorkovsky, pagò 160 milioni per ottenere il controllo della Lukoil, una compagnia petrolifera che valeva più di 6 miliardi di dollari. La Banca di un altro amico degli amici, Potanin, spese 250 milioni di dollari per impadronirsi della Norilsk Nichel, leader mondiale della produzioni di metalli, il cui valore si aggirava sui 2 miliardi di dollari. La frode dei “prestiti contro azioni” è il vizio fondante del capitalismo russo..”. Etc. Ect.
Nell’isteria mediatica sul processo alle Pussy Riot é scivolata via la notizia che a Platon Lebedev, compagno di merende di Khodorkovsky, la pena potrebbe essere ridotta di oltre tre anni.
Venerdì 17 la sentenza sulle fanciulle antiregime che per non saper cantare né suonare (il loro é azionismo stile Voinà, non certo musica, tantomeno punk, ma questi son dettagli, l’importante é far abboccare i pesci) di casino ne hanno provocato.