«Per il bene della Spagna, non del partito». Il Financial Times lo chiede quasi con riguardo in un editoriale: Signor Rajoy, la prego, cambi registro!
Così la debolezza del premier iberico è bacchettata perfino oltremanica.
I dubbi dell’esecutivo spagnolo ci sono tutti: la richiesta di un secondo salvataggio – stavolta per le casse di Madrid – sarebbe la «più grande umiliazione dall’epoca del franchismo», ma anche una «catastrofe» per il Partito popolare.
Da una parte dunque il flop elettorale dietro l’angolo – considerati gli ultimi sondaggi dove il Pp è sceso in picchiata -, dall’altra porre la Spagna alla stessa stregua di Grecia, Irlanda e Portogallo, non è cosa facile. Men che meno con un governo incoerente, inaffidabile e con poco polso della situazione. Basti pensare all’estenuante tira e molla su quei 100 miliardi chiesti alla Bce per i conti in rosso delle banche.
Le relazioni di Rajoy, per di più, sono pessime anche con le regioni – a partire dalla Catalogna -, molte governate dai suoi stessi baroni, che percepiscono un «eccessivo istinto accentratore».
E lo schiaffo britannico non si fa attendere: «La Spagna dovrebbe parlare con una sola voce, come fa il Portogallo», suggerisce il settimanale, chissà se consapevole o meno dei secolari rapporti poco amichevoli tra portoghesi e spagnoli.
Solo nell’ultimo paragrafo la bibbia economica europea sembra voler dare qualche merito al premier iberico: incoraggianti progressi nelle «buone esportazioni», la lotta contro il deficit e una riforma del lavoro «nella giusta direzione». Almeno secondo il Ft.
30 Agosto 2012