Il partito “solido” o “pesante” sappiamo tutti cos’è. Militanti, quadri, dirigenti, un solido apparato, fonti fisse di finanziamento, un’ideologia, organi di informazione propri, metodi stabili per formare nuova classe dirigente.
Il partito “liquido” abbiamo imparato ugualmente bene cosa dovrebbe essere. Organizzazione poca o nulla, forte uso delle nuove tecnologie, soggetto politico di riferimento “fluttuante” e costruito di volta in volta attraverso elaborazione del programma, primarie o “narrazioni” mediatiche. Classe dirigente che proviene dalla “società civile” invece che da una storia di militanza interna al partito.
Coloro che hanno un atteggiamento “antipolitico” tendono in genere a preferire forme “liquide” di partecipazione, vedendo in ogni forma stabile di “apparato” un’emanazione della “casta”, un’incrostazione di potere che drena indebitamente i soldi dei cittadini per fini parassitari. Dunque, quanto più leggeri sono i partiti, tanto meglio. L’ottimo sarebbe poi che non ci fossero proprio.
Fin qui è tutto molto chiaro. Le difficoltà sorgono quando si prendono in considerazione coloro che invece difendono la politica. E qui vediamo talvolta formarsi un discorso molto insidioso.
C’è chi si dice nemico giurato dell’antipolitica. Che difende i partiti nel loro ruolo centrale per la democrazia. Che critica il populismo nel suo opporsi alla fondamentale funzione democratica della mediazione. Un discorso positivo si direbbe, a favore della politica, dei partiti, della democrazia, contro le minacce del disinteresse, delle cricche e dell’autoritarismo.
Eppure dietro a questo discorso così suadente c’è spesso una peculiare concezione dei partiti che potrebbe dirsi del “partito rigido”. Secondo questa visione il fatto per i partiti di avere un elettorato, di essere composti da persone con interessi, desideri, opinioni è in fondo una colpa. Il partito deve prendere decisioni drastiche e impopolari dettate dalle circostanze. La sua funzione è quella di spiegare, di far accettare queste misure alla sua riluttante base. Un partito “pedagogo”, che però esercita la sua funzione “educativa” non nella versione positiva di elevazione culturale dei suoi membri e di messa a disposizione di strumenti per comprendere a partecipare alla vita pubblica del paese. Ciò che si richiede al partito è di essere il maestro severo, che riprende e bacchetta gli allievi indisciplinati, vigilando che facciano correttamente i “compiti a casa”, riproponendo così in piccolo la concezione propria della Ordnungspolitik che la Germania raccomanda agli altri paesi europei. Nella misura in cui e fintanto che agisce in questo modo, il partito riveste una funzione fondamentale per la democrazia. Nel momento, però, in cui avanzasse critiche sui contenuti delle prescrizioni che deve fare accettare ai suoi elettori, immediatamente sorpasserebbe il limite che separa la “buona politica” dal populismo.
Fa parte del ruolo più intimo della politica e dei partiti il doversi assumere delle responsabilità in tempi difficili e farle accettare. Tuttavia, ciò che distingue una democrazia da un’oligarchia o da un regime autocratico, è il fatto che le decisioni non sono imposte dall’esterno ma, almeno in linea di principio, liberamente accettate sulla base di una convinzione raggiunta attraverso il dibattito e la discussione pubblica (ovviamente nelle forme previste dalla democrazia stessa, ivi compresi i partiti stessi). E’ significativo che l’espressione dei “compiti a casa” suggerisca che i popoli, i partiti e gli stessi Stati siano in verità minorenni e debbano dunque essere tenuti sotto tutela da organizzazioni che sole sanno prescrivere loro ciò che è meglio.
La politica vera, invece, è cosa da adulti, non nel senso dell’età ovviamente. Adulto è chi sa decidere liberamente intorno al proprio destino e sa che questa libertà va assieme alle relative responsabilità. Solo se intese in questo senso parole come responsabilità e austerità hanno un senso e cessano di essere beffardi termini di un orwelliano dizionario di non-lingua.
Se la critica all’antipolitica si rivolge verso i toni “anarcoidi” assunti da certi esponenti, alla colpevole facilità delle soluzioni proposte, al falso bersaglio individuato (i partiti in quanto tali) allora è sacrosanta.
Ma se si rivolge contro la pretesa della popolazioni di avere davvero una voce nel decidere come uscire da questa situazione e di discutere e capire sul serio, smettendo di subire diktat dall’alto e soluzioni imposte da organismi privi di legittimazione democratica, allora bisognerebbe forse chiedersi se l’antipolitica stia tutta, e sola, da una parte.