Chiedi alla polvere. Storie di droga e narcotrafficoStopthedrugwar.org: antiproibizionismo made in Usa

L'avventura di Stopthedrugwar.org inizia negli anni '90, a Washington: "Finita l'università volevo cambiare il mondo", racconta Dave Borden, direttore del sito. Non con un libretto rosso tra le man...

L’avventura di Stopthedrugwar.org inizia negli anni ’90, a Washington: “Finita l’università volevo cambiare il mondo”, racconta Dave Borden, direttore del sito. Non con un libretto rosso tra le mani, ma con una newsletter via email: l’obiettivo è risvegliare le coscienze degli americani sull’effetto delle politiche antidroga. “Pensavo che in quel momento nessuno raccontasse ciò che davvero andava detto”. Cioè che il proibizionismo uccide e che la soluzione è legalizzare le sostanze leggere e decriminalizzare il consumo di quelle pesanti. E che la War on drugs, la guerra che gli Stati Uniti hanno dichiarato al mondo nel 2000, ancora prima degli attacchi di Al Qaeda e del terrorismo, è un fallimento. “Per un tossico è più sano e sicuro avere un accesso legale all’eroina invece che recuperarla in strada, ad un prezzo maggiore – aggiunge – . Il proibizionismo rende la dipendenza più pericolosa”.

Attorno a Dave Borden si raggruppa un comitato per la riforma della legge sulla droga: il Drc, Drug reform committee, con sede a Washington. Prima la newsletter aveva come unico scopo lo scambio d’informazioni fra gli iscritti. Poi, nel 2003, si trasforma in stopthedrugwar.org, un sito sostenuto dal Partito radicale transnazionale, di cui è presidente Marco Pannella e segretario Demba Traoré, un politico maliano. Dave Borden e il suo staff pubblicano in rete notizie, analisi, commenti e campagne per sensibilizzare sul tema del proibizionismo. “Ancora oggi – prosegue Borden – la gente non realizza che esiste un impressionante gruppo di sostegno alla legalizzazione e che si può fare lobby per cambiare le leggi vigenti”.
Secondo gli attivisti di Stop the drug war, le vittime della guerra alla droga non sono solo le 45mila persone che dal 2006 ad oggi hanno perso la vita in Messico. Si muore anche a nord del confine, per mano della polizia. L’ultimo episodio eclatante, la cui eco è giunta anche in Italia, risale al 12 agosto. Decine di agenti inseguono Darius Jennings, un afroamericano di 51 anni, evidentemente ubriaco, che cerca di fuggire con la sua auto dalla Settima avenue, a New York. Lo circondano e lo neutralizzano. Quando gli chiedono i documenti, tira fuori un coltello da cucina. Le forze dell’ordine aprono il fuoco e lui muore sul colpo. Lo avevano pescato a fumare marijuana: ecco l’origine dell’inseguimento. Davinian Darnell Williams, 36enne di Jacksonville, Florida, invece, è stato colpito a morte da un proiettile a un posto di blocco. Si è rifiutato di uscire dall’auto con le braccia alzate e mentre rovistava nei cassetti della macchina un poliziotto gli ha sparato sei volte. Era il 10 maggio scorso. Williams era la 28esima vittima della war on drugs della polizia statunitense nel 2012. Oggi il tassametro è a quota 42.

Il narcotraffico è un’attività che vale tra i 105 e i 150 miliardi di dollari, negli States. “Le stime sono variabili perché c’è molta incertezza: il mercato è tutto sommerso”, commenta Borden. Un fiume di soldi che spesso arriva non solo nelle tasche di chi controlla il mercato delle droghe, ma anche a chi dovrebbe combatterlo. “Lo spaccio è il motivo principale alla base della corruzione delle forze dell’ordine”, aggiunge il direttore di Stop the drug war. Ogni settimana il sito ricapitola le storie di ordinaria corruzione che si consumano sui confini degli States. Per esempio, a Corpus Christi, in Texas. È il 19 giugno quando due vice sceriffo della contea di Duval, Ruben Silva e Victor Carrillo, vengono licenziati. Secondo l’accusa, hanno favorito l’ingresso dal Messico di dieci chili di cocaina attraverso il valico di frontiera di Freer. Se le guardie diventano ladri, difficilmente potranno vincere la partita.

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