Vorrei riprendere un tema che avevo segnalato nel mio pezzo di ieri. Parlo della deposizione di Claudio Martelli che accusa Oscar Luigi Scalfaro di essere il mandante e la mente della trattativa stato-mafia. Mi vengono in mente alcune considerazioni. La prima che è l’accusa viene rivolta adesso che l’ex presidente non può confutarla. È una brutta abitudine quella di accusare i morti. Martelli ha taciuto per tutto il tempo in cui Scalfaro avrebbe potuto difendersi e querelarlo costringendolo in giudizio. La seconda è che il mondo che ha fatto di Scalfaro la propria bandiera non ha accennato ad alcuna difesa del povero ex presidente malgrado abbia costruito sulle sue prese di posizione la legittimità e la moralità del proprio orientamento politico.
Ingratitudine? No, più semplicemente è la classica storia del più puro che epura il puro precedente. Il tema è però del coinvolgimento di Scalfaro nella trattativa sgonfia il caso giudiziario elaborato dalla procura di Palermo. Scalfaro fu eletto proprio come risposta del parlamento alle stragi mafiose. Il vecchio senatore Dc fu considerato allora, e deve essere considerato tuttora, un galantuomo, un vecchio uomo di Stato, molto conservatore, che mai avrebbe fatto compromessi con la malavita. La sua vita è stata limpida. Può un uomo così aver trattato alla pari con le cosche? Mi sembra una barzelletta.
Eppure, pur di dimostrare che il problema è lo Stato e non la mafia, si dà credito a questa versione. Per me la storia finisce qui. Aspetto ancora di vedere le prove di questa famosa trattativa imbastita da carabinieri che la mafia l’hanno contrasta e da uomini politici integerrimi, da Conso a Scalfaro. Credo che la pubblica opinione non si berrà queste tesi. Del resto nessuno ha scritto che le centocinquantamila firme a sostegno della procura di Palermo sono state un boomerang. Per una ragione semplice. Sono poche. È come se ogni lettore del Fatto abbia convinto solo un’altra persona firmare. Eppure io non credo che nel nostro Paese siano solo centocinquantamila le persone che sono contrarie alla mafia e ai comportamenti conniventi con essa.
Questo dovrebbe far riflettere il pm Ingroia. Da mesi ha scelto di fare interviste e dibattiti politici. È nel suo diritto di cittadino, anche se dovrebbe accettare che vi sia chi non approva o non condivide che una magistrato chieda l’accantonamento dei politici tout court. Sono dell’avviso che le polemiche contro Ingroia vadano centellinate. Un procuratore di Palermo vive una situazione di indubbio pericolo e mai bisogna dare alla mafia l’impressione che sia solo. Tuttavia se è giusto chiedere a se stessi e alla politica questa autolimitazione a tutela di Ingroia, lo stesso Ingroia deve rendersi conto che non tutti possono accettare il suo modo di vedere le cose e di stare nella vita pubblica. Servirebbe una buona dose di buon senso in Ingroia e nei suoi critici.
Parlo anche di me stesso. Non sono un ammiratore di Ingroia, lo giudico sui fatti che nel suo caso sono i risultato processuali delle sue inchieste, noto che i suoi supporter lo espongono a brutte figure, le 150 mila firme appunto, lo vorrei silenzioso non per tacitarlo ma per avere la prova che è operoso. Tutto qui. Per il resto preferisco dimenticarlo come oggetto di polemica. E’ a Palermo. È in prima linea, può bastare questo.