Non sarà questa la musica che ti scompiglia, ma una minima scossettina l’avranno sentita tra l’audience del concerto di George Benson del 31 Agosto al Narni Black Festival.
Anche se ci si aspettava una performance un po’ più ritmata, nonostante la veneranda età dei componenti della band dello storico chitarrista afroamericano da dieci Grammy Awards, il pubblico ha comunque reagito bene sia alla prima parte dell’esibizione dedicata agli anni del jazz che alle proposte più colorate dell’era del funk.
Ci fosse stata una sezione fiati, sicuramente, i nostalgici del George Benson di “Body Talk” si sarebbero scatenati sin dalla prima battuta.
Ma c’era da aspettarselo. Non c’è da rimanerci male, l’aspettativa doveva rimanere nei parametri del soul jazz grazie ai due tastieristi, David Garlfield, virtuoso che ormai lo accompagna da anni, e Thom Hall direttamente dalla patria della Motown, seguiti dal basso di Stanley Banks, l’altra chitarra del gruppo, Michael O’Neal, e Land Richards alla batteria. Un repertorio che rievocava gli esordi di GB (che non è JB, anche se la pronuncia, e solo quella, dell’acronimo potrebbero lasciar intendere che sul palco stia per salire il king del funk), con tracce della prima collaborazione della star di Pittsburgh con l’organista Jack Mc Duff, alternate a quelle presenti nel suo ultimo album uscito nel 2011 “Guitar Man”, dov’è forte la combinazione chitarra voce con lo scat singing. Disco, tralaltro, con cui ha vinto la 43esima edizione del Naacp Image Awards, sezione Jazz Albums.
Quindi, due tastieristi, un bassista dallo slap concesso con parsimonia, un’altra chitarra a sostenere il boss del gruppo e un batterista particolarmente ‘fomentato’ dai pezzi più ritmeggianti e sincopati sono stati i protagonisti della serata più attesa della quattordicesima edizione di questo festival della musica afroamericana che da anni riesce a portare sul piccolo palco della piazza centrale del borgo medievale di Narni (TR) figure di gran rilievo per quel che concerne la storia della black music.
Un’edizione, quella di quest’anno, che ha voluto recuperare crediti rispetto alla precedente che aveva visto una line up capitanata da Mario Biondi. What a pumpkin?! Un festival della musica afroamericana non può, con tutti i reduci degli anni Settanta ancora fortunatamente, anche se ormai pochi, vivi, presentarsi con un cantante sì devoto al soul ma decisamente non ai livelli di chi, negli anni del fermento funk, ha contribuito ad aggiungere un piccolo tassello, seppur con una sola hit da tormentone, al pilastro della musica nera. Chi ha partecipato ai Narni Black Festivals degli anni passati ricorda con estrema gioia un George Clinton, per la seconda volta in Europa, totalmente inconsapevole dei settanta e rotti anni nascosti dalla parrucca del p-funk, con i suoi Parliament Funkadelic, Maceo Parker e le sue apnee, i Tower of Power di Oakland, e ancora prima Bobby Womack, e tanti altri nomi monolito dell’era del Say it loud i’m black and proud.
“Noi resistiamo” ha detto Silvano Menichelli, il direttore artistico del festival narnese. “Detto in tutta franchezza – ha confessato – la scelta della scorsa edizione è stata operata per coinvolgere, con un artista comunque premiato dal mercato, e far avvicinare al festival e alla sua filosofia di fondo, anche un pubblico non necessariamente ‘specializzato’. In altri termini, chi organizza deve tener conto sia del mercato che dei diversi tipi di pubblico, rimanendo dentro le linee ispiratrici del festival. Tutti ci ricordiamo i Nbf degli anni scorsi, ma purtroppo abbiamo dovuto rispondere alle richieste del mercato perché i soldi ormai scarseggiano”.
“Siamo contenti di essere riusciti a portare George Benson – ha aggiunto – perché per noi la buona musica è essenziale, specie in un epoca come questa, dove ormai il dialogo tra le generazioni è troppo contenuto, è doveroso far conoscere ai giovani le roots della buona musica. Io sono molto amareggiato dell’attuale condizione della scena musicale mondiale. Anche in America i buoni musicisti sopravvivono a stento perché schiacciati da queste pop star che fanno comodo alle industrie discografiche per una stagione o poco più. Speriamo di continuare a portare in Italia queste figure basilari della storia della musica, con l’auspicio che, così facendo, i giovani d’oggi riescano a riconoscere la sana e buona musica”.
George Benson ha concesso un piccolo tributo a quel periodo tornando in scena, dopo l’unica pausa delle due ore di concerto, con una camicia di seta verde smeraldo tagliata obliquamente dalla cinta siglata GB che reggeva quella chitarra che finalmente stava per suonare sulla prima e sulla terza misura della battuta. Prima con “Give me the night”, composta con Quincy Jones e Tommy LiPuma, e poi con “On Broadway”, storico pezzo dei Drifters dei ’60 riproposto la prima volta da GB nel ’78 in un live che gli valse un posto tra le Hot 100 di Billboard e una citazione nel film di Carlo Verdone, “Borotalco” – la scena di Verdone con Christian De Sica nella stanzetta del dormitorio parrocchiale.
Dopo la seconda entrata in scena il pubblico del Narni Black era notevolmente più coinvolto, merito della carica emotiva che di solito il ritmo in sedicesimi riesce a scatenare nelle anime di chi non attende altro che rievocare l’energia degli anni in cui la gente era conscia del proprio potere e manifestava unita, a passo ancheggiato, per far valere i propri diritti.