La società dell’osservazione sta modificando molte professioni, fra cui quella giornalistica dove sono nate due (relativamente) recenti forme di questa secolare professione: il giornalismo investigativo o d’inchiesta (le luci) e quello scandalistico (le ombre).
1. Il giornalismo investigativo o d’inchiesta
Quando si parla di giornalismo d’inchiesta, la mente corre al Watergate, lo scandalo che nel 1974 portò alle dimissioni del Presidente americano in carica Richard Nixon. Lo scandalo fu portato alla luce da Carl Bernstein e Robert Woodward, due giovani giornalisti del Washington Post. Quel meticoloso lavoro d’indagine venne da loro ricostruito in All the President’s Men, il libro uscito nello stesso anno e diventato poi, nel 1976, un film (diretto da Alan J. Pakula).
Il giornalismo d’inchiesta è diverso dal normale giornalismo d’informazione. È un giornalismo di denuncia, che non si ferma ai comunicati stampa e alle dichiarazioni ufficiali (pratica diffusissima, non solo in Italia, di un giornalismo pigro, ruffiano e, a volte, corrotto), ma scava in profondità. Tale lavoro presuppone un approfondimento ben superiore a quello necessario nel trattare qualsiasi altra notizia o evento. Il giornalista si trasforma così in un detective, un reporter, indagando con tenacia e meticolosità crimini, casi di corruzione ecc. con l’obiettivo (sicuramente epistemologicamente un po’ ingenuo) di scoprire la… verità. A tal fine il giornalista trascorre molto tempo (a volte mesi o anni) alla ricerca d’informazioni ‘di prima mano’, alla creazione di contatti, al controllo delle sue fonti. Assomiglia quindi a un etnografo, che costruisce le sue conoscenze in base all’ascolto e soprattutto all’osservazione, anziché alla lettura di comunicati o dichiarazioni.
Nonostante il giornalismo d’informazione sia fortemente maggioritario, sono esistiti (ed esistono) in Italia diversi giornalisti investigativi, alcuni di loro uccisi dalla mafia, come Cosimo Cristina (1945-1960), Mauro de Mauro (1921-1970), Giovanni Spampinato (1946-1972), Peppino Impastato (1948-1978), Mario Francese (1925-1979), Giuseppe Fava (1925-1984), Mauro Rostagno (1942-1988) e Beppe Alfano (1945-1993); o dalla camorra come Giancarlo Siani (1959-1985).
Peraltro da qualche tempo esistono diversi Master di giornalismo investigativo e analisi delle fonti documentarie (vedi riferimenti).
Il cinema
Il cinema ha dedicato diversi film alla professione reporter (titolo del celebre film di Antonioni, uscito nel 1975). Alcuni ne hanno descritto i lati meno edificanti come le ambiguità, le prevaricazioni e gli abusi (in cui la stampa troppo spesso eccede), il cinismo immorale, l’abuso del suo potere mediatico. Fra questi ricordiamo State of Play (2009) di Kevin Macdonald, in cui Cal McAffrey è un giornalista disposto ad arrivare alla verità costi quel che costi, anteponendo a essa gli affetti e gli amici. In Diritto di cronaca (1981), diretto da Sidney Pollack, Megan Carter è una reporter senza scrupoli che non esita a rovinare la vita privata del presunto criminale Michael Gallagher (Paul Newman) e di chi lo circonda. Infine in Prima pagina, diretto nel 1974 da Billy Wilder, assistiamo alla volontà inarrestabile del redattore Walter Burns (Walter Matthau) di pubblicare notizie tendenziose ma roboanti.
Tuttavia altre pellicole hanno raccontato con accuratezza lo spirito democratico che può anche permeare questa professione. Abbiamo già accennato a Tutti gli uomini del presidente. Invece l’importanza civile di un’informazione capace di smascherare l’abuso di strutture politiche ed economiche inarrivabili per il singolo cittadino, è stata raccontata Michael Mann con il suo Insider – Dietro la verità (1999) dove un reporter appassionato e radicale (Al Pacino), produttore della trasmissione TV 60 Minutes, manda in onda la testimonianza fondamentale di un ex-dirigente (Russell Crowe) di una azienda del tabacco, nella quale vengono smascherati i processi chimici con cui le multinazionali producevano dipendenza da nicotina nei consumatori. Infine Zodiac (2007) di David Fincher, in cui due giornalisti (Jake Gyllenhaal e Robert Downey Jr.), alle prese con la ricerca dell’identità di un serial killer, mostrano come l’informazione possa essere al servizio del benessere della comunità.
In incognito: il giornalismo valutativo
Una variante del giornalismo d’inchiesta è quello che potremmo chiamare ‘giornalismo valutativo’ (o undercover). La sua particolarità, che lo distingue dal precedente, consiste nell’entrare in incognito (quindi sotto mentite spoglie) in un’organizzazione o istituzione (un ospedale, una prigione, un tribunale ecc.) per scoprirne le disfunzioni, le lacune organizzative e, anche, le situazioni d’illegalità.
All’estero la filantropa americana Nellie Bly (1864-1922), si finse malata e si fece ricoverare in un manicomio per investigarlo dall’interno; il tedesco Günter Wallraff, opera in incognito per scoprire e denunciare le ingiustizie sociali; l’inglese Alex Dolan nel 2008 entrò per sei mesi in una scuola britannica come supplente per filmare il documentario Undercover Teacher in cui venivano messe in luce le pecche del sistema scolastico. La femminista e attivista politica americana Barbara Ehrenreich, ha investigato l’impatto della riforma US del welfare del 1996 sul “working poor”.
In Italia ci sono stati, anche recentemente, diversi casi eclatanti di giornalismo in incognito. Facendo sicuramente torto a qualcuno, possiamo ricordare Fabrizio Gatti che ha condotto almeno tre inchieste: nel 2005, fingendosi curdo, è stato rinchiuso per una settimana in un Centro di Permanenza Temporanea a Lampedusa; nell’agosto 2006, fingendosi rumeno, ha lavorato per una settimana fianco a fianco ai raccoglitori di pomodori della provincia di Foggia; infine, nel gennaio 2007, si è introdotto nell’ospedale Policlinico di Roma facendosi passare per uno del personale delle pulizie.
Attilio Bolzoni nel gennaio 2007, per una settimana ha operato indisturbato nel Tribunale civile di Roma con una telecamera. Non ha dovuto esibire false identità, come Gatti, perché nessuno l’ha mai avvicinato per sapere cosa facesse. Sandro De Riccardis, nell’ottobre 2008, ha lavorato per una settimana come operatore in un call center di telemarketing e teleselling, sito nella zona industriale di Assago, hinterland di Milano. I 1.200 euro lordi mensili promessi dai selezionatori sono diventati 800 lordi (appena 640 netti), pagato 4 euro netti l’ora, mentre le provvigioni promesse si sono ridotte in ventiquattr’ore della metà.
Zita Dazzi, nel gennaio 2010, ha indossato un burqa ed è andata in giro per le strade di Milano e negli uffici pubblici scoprendo che, così vestiti, non si può prendere un libro in prestito in biblioteca o non si può entrare all’anagrafe comunale. E se ci si avvicina al palazzo di giustizia, scattano tutti i dispositivi di sicurezza. Da qualche tempo il giornalismo investigativo si coniuga con i nuovi media. Da questo incontro fecondo sono nate diverse iniziative tra cui il premio giornalistico “eretici digitali“.
Gli inviati e i corrispondenti
Veri e propri etnografi, antropologi della notizia, sono gli inviati (o inviati speciali) e i corrispondenti. I primi seguono solitamente un unico evento per volta (una guerra, un congresso, una catastrofe, un avvenimento politico, sportivo ecc.), spostandosi (quando necessario) in luoghi sempre diversi in base alle esigenze di documentazione. I corrispondenti, invece, solitamente risiedono stabilmente in un luogo, anche all’estero, da cui scrivono su tutto quello che avviene in quel Paese. Alcuni di loro sono diventati una sorta di leggenda (un esempio per tutti Ettore Mo) e attorno a essi aleggia un’atmosfera mitica, quasi fossero una specie di Indiana Jones.
2. Il giornalismo scandalistico
Questa seconda forma di giornalismo è molto più recente. Esso annovera figure con un profilo, purtroppo, molto diverso dal giornalista d’inchiesta. Tuttavia usano anch’essi in modo diffuso le tecniche dell’osservazione: sono i cosiddetti paparazzi. Con questo termine vengono classificati (spesso in modo dispregiativo) i fotografi specializzati nel seguire e riprendere personaggi famosi sia in occasioni pubbliche (ristoranti, per strada, ecc.) che nella loro vita privata, vendendo poi le foto più compromettenti che fanno la fortuna della stampa scandalistica (oltre che la loro).
Il termine è un neologismo introdotto dal film di Federico Fellini La dolce vita(1960), nel quale un fotografo (il cui cognome nel film è appunto Paparazzi) viene più volte interpellato dal protagonista, l’attore Marcello Mastroianni. Questo cognome è divenuto in tutto il mondo sinonimo di fotografo d’assalto. Il termine “paparazzo” è stato, ad esempio, utilizzato dalla stampa di tutto il mondo in occasione dell’incidente mortale di Lady Diana e Dodi Al-Fayed a Parigi nel 1997, causato da una corsa ad alta velocità nel tentativo di sfuggire a un gruppo di fotografi d’assalto. A mio avviso responsabili morali della loro morte.
Il paparazzo è una specie di etologo sociale, un birdwatcher che dagli uccelli è passato agli esseri umani. Recentemente questa pratica osservativa ha superato i confini della professione e ha contagiato le persone comuni. Tant’è che da qualche anno va di moda, durante l’estate, il vip watching, ovvero l’avvistamento di volti noti in vacanza: calciatori, veline, giornalisti, letterine, attori e personaggi famosi di ogni tipo. La rivista americana Forbes ha stilato un elenco dei luoghi in cui si possono facilmente incontrare vip, da Bora Bora (in Polinesia) a St. Tropez, da Mykonos agli Hamptons negli Stati Uniti. Allo stesso modo in Italia alcuni siti (come www.giovani.it/) offrono mappe geografiche delle zone vacanziere (la Riviera Romagnola, la Versilia, Portofino e Formentera) dove è possibile incontrarli.
3. Il futuro del giornalismo
Dove sta andando il giornalismo italiano? Proseguirà nel solco tracciato dalla “società dell’osservazione”, diventando sempre più, da una parte, un giornalismo d’inchiesta e dall’altra scandalistico (come sta già avvenendo nel web, dove è sorto un interessante dialogo tra giornalisti e lettori, i quali monitorano, commentano, osservano il lavoro dei primi)? Oppure continuerà a essere un giornalismo d’informazione, ripiegato su se stesso, davanti a un monitor collegato a un’agenzia di stampa in attesa che arrivi una notizia che lui/lei, autonomamente, avrebbe dovuto cercarsi?
Continuerà, quindi, a fidarsi delle dichiarazioni dell’addetto stampa di una multinazionale o di un funzionario addetto alle pubbliche relazioni? Se è vero che, come sostiene il sociologo ed esperto di media digitali Sergio Splendore, quest’ultima sia la tendenza futura, potremmo chiederci se in essa non ci siano già i germi della futura scomparsa del giornalismo d’informazione, incapace di adeguarsi alla “società dell’osservazione”. Perché, infatti, un lettore dovrebbe fidarsi delle notizie costruite dalle multinazionali dell’informazione (sempre più concentrate nelle mani di poche agenzie stampa globalizzate – cfr. Czarniawska 2009 e 2011) invece di rivolgersi ai tanti giornalisti investigativi presenti in pochi giornali e tanti blog?
Riferimenti
de Burgh, H. (2000) (a cura di), Investigative Journalism: Context and Practice, London and New York: Routledge.
Czarniawska, B. (2009), Ansa. Analisi etnografica di un’agenzia di stampa, Roma: Carocci.
Czarniawska, B. (2011), Cyberfactories. How News Agencies Produce News, Cheltenham: Elgar.
Fossati, S. e Martorana, M. (1995), Giornalista Freelance, Milano: Sperling& Kupfer.
Gobo, G. (2009), La società dell’osservazione. Nuove opportunità per la ricerca etnografica, in «Rassegna Italiana di Sociologia», L, 1, pp. 101-131.
Mirone, L. (199), Gli insabbiati, storie di giornalisti uccisi dalla mafia e sepolti dall’indifferenza, Roma: Castelvecchi.
Reyes, G. (1996), Periodismo de Investigacìon, Districto Federal: Editorial Trillas.
Rodriguez, P. (1994), Periodismo de investigacion técnicas y estrategias, Barcellona: Paidos.
Secanella, P.M. (1986), Periodismo de Investigacion, Madrid: Editorial Tecnos.
Sidoti, F. (2003) (a cura di), Giornalismo investigativo, Roma: Koinè.
Splendore, S. (2011), Il web come arena del media criticism, in R. Marini (a cura di), Altri Flussi, Milano, Guerini, pp. 261-281.
Splendore, S. (2012), Rapporto di ricerca sui “media digitali”, http://www.soros.org/reports/mapping-digital-media-italy, cap. 4.
Veneziani, M. (2006), Controinformazione: stampa alternativa e giornalismo d’inchiesta dagli anni Sessanta a oggi, Roma: Castelvecchi.
Weinberg, S. (1996), The Reporter’s Handbook: An Investigator’s Guide to Documents and Techniques, New York: St. Martin’s Press.
Da Wikipedia:
Centri nazionali e internazionali di giornalismo investigativo
• AGI – Associazione di Giornalismo Investigativo Sito ufficiale
• Bureau of Investigative Journalism Sito ufficiale
• Center for Investigative Reporting – Berkeley, California, USA Sito ufficiale
• Center for Investigative Reporting – Bosnia-Herzegovina Sito ufficiale
• Center for Public Integrity Sito ufficiale
• Center for Investigative Journalism Sito ufficiale
• Investigative Reporters and Editors Sito ufficiale
• Philipphine Center for Investigative Journalism Sito ufficiale
• ProPublica Sito ufficiale
Corsi di formazione di giornalismo investigativo
• Master in Analisi delle fonti documentarie e giornalismo investigativo Sito ufficiale
• Corso di Analisi delle fonti aperte per il giornalismo investigativo Sito ufficiale
• Corso di videogiornalismo d’inchiesta Sito ufficiale
• Summer School di giornalismo investigativo (Londra) Sito ufficiale
• Corsi di Computer Assisted Reporting Italia Sito ufficiale
• Corsi di Computer Assisted Reporting Londra Sito ufficiale
• CAR Boot Camp Sito ufficiale
• Master in Investigative Journalism (Columbia University) Sito ufficiale
Portali di inchieste partecipative di giornalismo investigativo
• Fai Notizie, sito di giornalismo partecipativo di Radio Radicale Sito ufficiale
• You capital Sito ufficiale
• Spot.us Sito ufficiale