Euroscopio. L'Europa da vicino e da lontanoIl popolo di Travaglio prende un granchio

di Michele Ballerin Qualche giorno fa Alessio Pisanò ha pubblicato sul Fatto quotidiano un articolo in cui cercava di mettere ordine nell'inesausto dibattito sulla crisi dell'euro. Notava fra l'alt...

di Michele Ballerin

Qualche giorno fa Alessio Pisanò ha pubblicato sul Fatto quotidiano un articolo in cui cercava di mettere ordine nell’inesausto dibattito sulla crisi dell’euro. Notava fra l’altro che la crisi dell’euro non è nata come tale, ma in prima battuta come crisi della finanza privata, presto travasata nella finanza pubblica dove ha spinto al limite situazioni (di per sé ancora sostenibili) di affanno più o meno latente. L’argomentazione è ineccepibile, semmai un po’ ovvia nel rimarcare aspetti che oggi dovrebbero apparire scontati. Invece ne è seguito un diluvio di commenti inviperiti, dei quali il più gentile basterebbe a turbare il sonno di molti articolisti. Si direbbe che i lettori del Fatto non aspettassero altro: una caviglia incautamente scoperta a portata dei loro affilatissimi canini. Nessuno dei luoghi comuni che animano la vis polemica del popolo di Travaglio manca all’appello (non manca neppure il neofita della scuola MMT che taglia la testa al toro proponendo l’abolizione delle tasse e la creazione di moneta a volontà), ma su tutto campeggia l’anelito al recupero della “sovranità monetaria”. È questo, a quanto sembra, il nuovo mito fondante di una imprecisatissima ideologia del terzo millennio. Prima di tutto, svalutare! Poi si vedrà.

Gli apostoli della svalutazione (quel meraviglioso stratagemma che ha tenuto a galla l’italietta dei decenni pre-Maastricht, a quanto pare rimpiantissima) farebbero bene a ricordarsi che la moneta ha due facce: svalutandola si spingono le esportazioni, ma si pagano molto più care le materie prime e i semilavorati d’importazione. Il risultato è un aumento dell’inflazione che si somma a quello dovuto all’incremento della massa monetaria, mentre il rincaro dei prodotti esportati riduce il vantaggio competitivo del deprezzamento: i prezzi rimangono sostenuti anche per i consumatori esteri. In breve, la svalutazione tattica non è così tattica come molti credono: non in un’economia mondializzata, nella quale ogni velleità autarchica nasce morta perché si vive di importazioni almeno quanto di esportazioni. Chi riduce la propria scienza economica al rimpianto della lira, e nel momento cruciale sa calare soltanto l’asso della svalutazione, dovrebbe muoverci a compassione: perché la sua scienza è ben poca cosa.

Ma l’elemento più irritante in questa alluvione euroscettica è senz’altro lo sbandieramento della sovranità monetaria. Si può essere sprovveduti finché si vuole, e nessuno verrà rimproverato se appena alzato dal letto si precipita alla tastiera e butta giù la prima scempiaggine che gli passa per la testa. Ognuno è libero di coltivare le proprie opinioni, ci mancherebbe. È anche libero di strillarle nelle orecchie del prossimo, usando magari quel petulante megafono che spesso e volentieri sanno essere i social network. Ma non è libero di trasformare una stupidaggine in una perla di saggezza. E il recupero della sovranità nazionale è, nel settembre del 2012, un’incommensurabile, immaginifica, clamorosa sciocchezza: una sciocchezza da quattro in pagella. La sovranità nazionale non può essere “recuperata” per il più semplice dei motivi: perché la freccia del tempo va in un’unica direzione; perché i processi storici non obbediscono alla volontà di Paolo Barnard; perché la sovranità nazionale (come Luigi Einaudi rilevava già nel 1918) se n’è andata da un pezzo. Svanita. Evaporata. Il dentifricio, amici, è uscito dal tubetto. Un’epoca è al tramonto (l’epoca di Westfalia); un’altra epoca si è fatta avanti.

La prima conseguenza di questo considerevolissimo fatto storico (la volatilizzazione delle sovranità nazionali) è stata di dividere la società europea in due settori implacabilmente distinti: il settore dei cittadini che se ne sono accorti e quello dei cittadini che ne rimangono all’oscuro. Niente di strano o disdicevole in questo. C’è sempre una fetta di pubblico che resta ignara fino all’ultimo – fino a quando la nuova realtà storica si insinua sotto i suoi piedi distratti rimpiazzandovi quella vecchia. Allora le polemiche si placano, anche l’oppositore più accanito sente sfuggirgli le forze e il presente trionfa, mentre il passato abdica. Le jeux sont faits.

Ha senso ribattere punto su punto ai disfattisti lettori del Fatto? Per la verità, l’impressione è che un “marameo” sarebbe più che sufficiente. Chi si ostina a non vedere che il futuro prossimo dell’Europa è la federazione (una federazione che, come ogni forma statuale sovrana, deve avere la sua brava moneta, in attesa della moneta mondiale preconizzata da Keynes) è già confutato, confutato fino al midollo: fino al limite oltre il quale non è più possibile esserlo. Tuttavia, dopo i due equivoci dis-fattisti della svalutazione risolutiva e del recupero della sovranità nazionale possiamo ancora identificarne un terzo: che si possa uscire dall’euro (cioè far saltare il banco dell’euro) senza compromettere l’Unione europea.

Ora, l’unità politica può essere solo di due tipi: a chiacchiere, o di fatto. Nel secondo caso è costituita da concrete cessioni di sovranità a un governo centrale, e una di queste cessioni deve concernere la sovranità monetaria: la quale non si “perde” affatto, ma si trasferisce là dove può essere esercitata con maggiore efficacia. Uno stato federale senza moneta è uno stato monco. E noi vogliamo che l’Unione europea possa fare quello che la storia le sta chiedendo di fare, non è vero? Vogliamo appunto guarirla dai suoi handicap, e non lo faremo mozzandole uno dei pochi arti che ha saputo finora sviluppare.

Forse il dollaro federale è un problema per il Wisconsin, l’Iowa o il Montana, che non possono “svalutare”? No. E, naturalmente, il dollaro può essere svalutato, se il governo statunitense, eletto dal popolo americano, lo ritiene opportuno. I dis-fattisti ribattono che il popolo europeo non ha voce in capitolo sull’eventuale svalutazione dell’euro. Adesso si comincia a ragionare. Continuiamo a ragionare: se il problema è questo, la soluzione è rendere l’Unione europea più simile agli Stati Uniti. Come? Dando l’ultimo giro di vite all’unione politica e fornendo alle istituzioni europee quello che ancora gli manca per diventare una federazione. Suvvia, l’ha detto perfino Barroso! E non nell’orecchio del suo confessore, ma al Parlamento europeo.

Se davvero si rimpiange la sovranità perduta è perfettamente inutile crogiolarsi nell’oziosa fantasia di un ritorno impossibile: bisogna battersi per andarla a prendere là dove oggi si trova. Allora mobilitiamoci – presi come siamo in questa frenesia mobilitatrice – per completare la costruzione europea e farne quella democrazia continentale che è nata per essere. Facciamo del Parlamento europeo un vero parlamento e della “governance europea” (timidissima parola in un’epoca gagliarda come la nostra) un vero governo. Trasferiamo più sovranità all’UE, non meno sovranità, per averla tutta intera nelle nostre mani come cittadini della democrazia europea – la più avanzata del mondo. Qui c’è ben poco da distruggere, signori, e c’è parecchio da costruire. Che cosa stiamo aspettando?

Come correttamente suggerisce Pisanò nel suo articolo, l’euro è l’esatto contrario di un problema: è il principio dell’unica soluzione possibile. E noi consigliamo ai suoi maneschi commentatori di chetare per un momento quello spirto guerrier ch’entro gli rugge per tuffarsi in un ripasso, matto e disperatissimo, della storia europea degli ultimi quattro secoli. E se non servirà questo a trasformare il loro atteggiamento in qualcosa di più utile e costruttivo, allora niente, temo, potrà mai servire.

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