Mai come questa volta le strade di Barcellona erano tanto colorate di esteladas, la bandiera a stelle e strisce indipendentista. In piazza, per la Diada (la giornata nazionale catalana) c’era un milione e mezzo di persone: un cittadino su cinque, insomma.
Il momento è certo cruciale. E Artur Mas, presidente della regione, ha le idee chiare: o Mariano Rajoy concede un prestito di 5 miliardi di euro per evitare il fallimento o la Catalogna chiederà l’indipendenza.
Secondo i sondaggi il 51% dei cittadini voterebbe a favore dell’indipendenza. I catalani, chissà, avrebbero una doppia cittadinanza. E, in balia degli eventi politici e sociali, potrebbero dirsi catalani o spagnoli. O magari entrambe le cose: cata -spagnoli? hispanolani?
Lo ammetto: non ho molta simpatia per l’estremismo barcellonese. Tutta colpa di un ricordo d’infanzia che riaffiora ogni volta che i catalani tornano a far rumore.
Avevo non più di 8 anni quando, coi miei in auto, ci fermammo in un paesino a sud di Barcellona, per consultare la cartina. Si discuteva sulla strada più veloce da percorrere.
Annoiata, chiesi a mamma se potevo andare a comprare pipas (semi di girasole) nel chiosco vicino. Lì parlai in simil castellano e la signora sessantenne mi guardò con aria stranita.
Poi mi disse seriosa: «Niña, lo sai che qui si parla solo catalano?». E continuò ad ammonirmi in quella lingua sconosciuta.
Da allora, col cuore, odio i catalani. Con la ragione, li capisco. Con Rajoy, li appoggio.
12 Settembre 2012