Di vecchio era vecchio Santiago Carrillo. 97 anni, 38 dei quali passati in esilio, prima in Francia, poi in Unione sovietica, lontano dalla dittatura di Franco. In clandestinità.
Storico segretario del Partico comunista spagnolo, Carrillo è morto nel sonno, nella sua casa di Madrid.
Pare abbia avuto il tempo di ironizzare sulle dimissioni di Esperanza Aguirre, la lady di ferro a capo della Comunidad di Madrid e di commentare preoccupato l’arresto dei quattro giovani lo scorso 15 settembre, alla manifestazione nazionale.
«Hay que impedir que vuelvan los tiempos de miedo» (Bisogna impedire il ritorno di quel periodo spaventoso) aveva scritto lo scorso 20 febbraio, nel suo ultimo articolo, analizzando la situazione politica e sociale della Spagna.
Perché Carrillo, sì, era preoccupato: per la libertà democratica, per la condanna del giudice Garzón, per la difficoltà stessa di criticare quella condanna. «Ho la sensazione che stiamo tornando indietro», continuava a scrivere.
Lui che aveva vissuto in prima persona la guerra civile. Lui che, il 23 febbraio 1981, il terrore lo rivide in quel colpo di stato che gelò il sangue all’intera nazione. Quel giorno i militari del colonnello Antonio Tejero occuparono il parlamento. Armati. Per le strade delle città rimbombava il silenzio dei pesanti carri armati. In aula tutti furono costretti a inginocchiarsi. Solo due rimasero in piedi, ostinati: il comunista Santiago Carrillo e il capo del governo, nonché ex ministro franchista, Adolfo Suárez. Forse per quello il vecchio comunista espresse sempre una certa stima verso l’avversario e amico. Disse sempre che Suárez si comportò da vero tutore della democrazia: rimase al suo posto. Anche Santiago Carrillo non abbandonò mai il suo.
19 Settembre 2012