E’ strano dirlo di un prequel, che almeno una coda dovrebbe per forza averla, ma Prometheus non ha proprio né capo né coda. Apparentemente gli sceneggiatori di Ridely Scott si sono sforzati di spiegare una delle prime scene di Alien, là dove si scopre che una civiltà di alieni (chiamati Space Jockey) è stata sterminata e sfruttata da altri alieni parassiti. Questi Space Jockey, passati un po’ in sordina nella saga diventano l’oggetto di Prometheus: in qualche modo avrebbero addirittura dato origine alla vita sulla Terra e degli scienziati partono alla loro ricerca. Come afferma David Denbie sul New Yorker, Prometheus potrebbe essere liquidato come un « metaphysical “Boo!” movie ». Nel senso che alla ricerca del creatore e del senso della vita, i protagonisti trovano come risposta un bel “bu!”. Bando alle ciance, sembra finir per dire il film a un certo punto, qui ciò che conta è scappare da dei mostri cattivi. Perché sotto sotto, “non c’è niente”, come afferma il vecchio finanziatore della spedizione morente. Il tutto accade in un confusionario accumulo di personaggi senza spessore, incongruenze e storie parallele non sviluppate. Una delusione per chi si aspettava quell’atmosfera sobria e sospesa del primo Alien.
Pero’ c’è un pero’. Sorprendentemente, Prometheus si rivela essere un filmone anti-geek, collaborando a quella nuova corrente che non è il solo appannaggio di Sokurov o Bela Tarr. Finisce per opporsi alla dominante cultura geek proprio con la sua sconclusionatezza (vedi qui per una spiegazione della nuova estetica geek e della sua controcorrente).
Vediamo. I protagonisti sono due poco simpatici e invasati geek, che trovano tre stelline in varie civiltà e si autoconvincono si tratti di un messaggio degli alieni, un invito. Per qualche associazione mentale a noi sconosciuta, questi alieni avrebbero non solo incontrato gli umani millenni di anni fa, ma li avrebbero anche creati. Li chiamano dunque “ingegneri”. Eccoci qui. Ma come? Non sarebbero stati degli dei a crearci, ma degli ingegneri? Dei tecnici del genoma? Niente contro l’ingegneria, anzi, ma che prospettiva mediocre e priva di sentimento avere fede in un ingegnere e non in un dio. Almeno in Matrix avevano la decenza di chiamarlo architetto, laddove tutti sanno che gli architetti di razionale nelle loro creazioni ci mettono ben poco.
Così’ ecco che in una sorta di estrema geekness si va in cerca degli ingegneri, ovvero di quelli che non ci avrebbero creato ma piuttosto costruito seguendo delle chiare istruzioni. Insomma un classico specchietto per le allodole che non risolve la questione di fondo: se loro hanno creato noi, e loro si trovano sullo stesso piano ontologico del nostro (non degli dei trascendenti ma un’altra specie), allora chi ha creato loro?
Queste domande latenti nel film sorgono con sorpresa proprio nel momento in cui la storia deriva in maniera un po’ sconclusionata. Altro che ingegneri. Sono dei mostri. Un “metaphysical boo! movie”, si diceva, come per affermare che ciò che conta alla fin fine è l’emozione e lo spettacolo. In una sorta di gioco di specchi che finisce per portarci al di là dello schermo, Prometheus ci dice che al film stesso queste domande non interessano. Ciò’ che conta è il cinema delle attrazioni, lo spettacolo fine a sé stesso. Certo pecchiamo di sovrainterpretazione e come cinema delle attrazioni c’è di meglio, in altri, per esempio, almeno si capisce cosa succede nelle scene d’azione. Ma la soddisfazione di scoprire che questi creatori/ingegneri siano alla fin fine dei mostri assassini (senza alcun motivo) è comunque un bel colpo anti-geek.
PS. Pare che una trentina di minuti di scene tagliati giri on-line. A supporto di chi sostiene che la sceneggiatura non è sconclusionata, è solo che i produttori hanno tagliato un po’ a caso un film che dura comunque quasi tre ore…